voce
N.35 Novembre 2022
Ma questa sera ho solo… voglia di cantare
Lucio Battisti con la sua voce non bella e neppure troppo intonata a volte, cantava un mondo possibile nel qui e ora, con cui ci si poteva sintonizzare. Ecco perché la voce oggi, meno retorica e più sentimentale, parla al mondo d'oggi. E continua a creare capolavori
Chi non conosce la classificazione vocale che proviene dalla musica classica fatta di soprani, tenori, bassi e via dicendo? In tutte le sue sfaccettature ha supportato secoli di musica e ha prodotto capolavori, e tutt’oggi resta viva nel campo della musica colta. Quel che non ci si chiede è come mai quest’impostazione sia decisamente lontana dal modo in cui oggi si canta la musica moderna; anzi, volendo fare un paragone, diciamo pure che il 90% della musica di oggi, laddove vi sia un testo, è cantato con voce normale, normalissima si direbbe.
Nel canto classico è necessario impostare la voce tanto da sfruttare le cavità orofaringee, craniche, tracheali, che vengono impiegate per la risonanza dei suoni. Nel canto di oggi basta modulare in modo intonato la melodia con la stessa naturalezza del parlare.
Quando si canta in maniera impostata si avvertono vibrazioni che cambiano a seconda della cavità che sta risuonando, il suono si sente sul palato, sugli incisivi. Nel canto moderno la voce non ha alcuna enfasi di armonici, non ha vibrati marcati, non ha risonanze.
Il volume del canto impostato è ampio, sonoro, a larga diffusione. Il volume del canto attuale è della voce parlata (certo, non sempre), a volte poco più in rilievo, ma sempre entro i limiti del piccolo ambiente. E questo vale anche in presenza della diffusione del canto in ampi spazi, dove l’amplificazione è in relazione al pubblico, non al tipo di voce del cantante. Nell’opera ci sono dei ruoli che nascono apposta per i tipi di voce, il basso buffo, il soprano drammatico, tenore leggero, ecc… Nel campo della musica leggera succede che ognuno si propone per se stesso, come interprete di sé dotato di una fisionomia propria originale.
Ancora: mentre da un lato la qualità della voce è importante e decisamente influente sulla carriera di un cantante, nel secondo possiamo tranquillamente osservare che il timbro è relativo, per non dire che non conta proprio.
La spiegazione c’è, e investe tutta una civiltà musicale, con le sue necessità vitali, le sue predilezioni e il suo rispecchiarsi. Le differenze infatti dicono molto: il canto impostato è retorico in massimo grado, propone aulicamente situazioni e sentimenti modulando in modo grandioso. Nel mondo di oggi non sembra che si sia bisogno di urlare un’emozione, al massimo la si porge come ad un amico, sublimandola comunque nel momento artistico. Quel tempo era fatto di eroi ed eroine, amanti infelici, gelosi patologici che esprimevano i sentimenti del dolore, dell’infelicità, dell’ira e del rancore, della malvagità e della vendetta ed erano coinvolti nell’eterno conflitto tra il Bene e il Male. Oggi questi sentimenti universali, ma non comuni, sono stati sostituiti dalla colloquialità di chi non ha cose solenni e epocali da dire, ma semplicemente qualcosa di semplice e immediato, che dice il “tuo” sentimento, nel quale “ti ci vedi”; già si sa che il tempo di re ed eroi è finito da un bel po’. È la quotidianità e che ha sostituito un mondo di proiezioni retoriche, in un’epoca (a partire dagli anni 60?) in cui tutti hanno avuto accesso alla musica; questa musica non poteva che essere quella che non mi urla passioni estreme, che non mi racconta una storia in tre ore, che si fa capire immediatamente (eh…questa lirica le cui parole non si capiscono…) e mi ritrae per quel che sono, persona di tutti i giorni e mi conferma nella mia identità, suggerendomi qualcosa che forse sono o potrei essere o mi piacerebbe essere.
Certo non si rispecchia nel re Nabuccodonosor che, ritornato in patria vittorioso dopo aver sottomesso Israele, dà prova di uno smisurato orgoglio gridando
Non sono più re, son Dio
Piuttosto vorrà sentirsi due carezze rilassanti, un gioco di parole, o qualcosa che faccia evadere un po’:
Forse dovrei partire, andarmene via di qua,
e cambiare la mia vita in toto
tipo andando in Africa.
Ma questa sera ho solo voglia di ballare,
di perdere la testa e non pensare più
che la mia vita non è niente di speciale”
(Pinguini Tattici Nucleari)
Gli esempi si potrebbero moltiplicare a migliaia. Quella era musica che arrivava poche volte in un anno, di solito qualche rappresentazione a Carnevale, oggi la musica riempie tutti gli spazi possibili immaginabili.
Nelle epoche passate il ritmo del vivere era lentissimo, oggi si va tutti di corsa, come sarebbe possibile darsi tempo per comprendere un’opera lunga, con sentimenti sorpassati e declamata con pose dannunziane?
No, preferisco qualcosa di colloquiale, semplice (ma non darei così per scontato il termine: nella canzone moderna ci sono autentici capolavori di psicologia e autentici cantanti delle profondità dello spirito, basta saper vedere), soprattutto che mi restituisca arte nella vita di tutti i giorni, nei suoi spazi e nei suoi tempi, magari in 3 minuti.
Perché no?
E il cantante dalla voce normale? Il fatto è che lui ci racconta con naturalezza qualcosa di sé, e quando questo qualcosa trova persone che vi si identificano, non risulta importante il colore, il timbro, le abilità o altro, ma semplicemente l’espressività in rapporto al testo/musica.
Lucio Battisti con la sua voce non bella e neppure troppo intonata a volte, cantava un mondo possibile/immaginabile nel qui e ora, con cui ci si poteva sintonizzare.
Qualcuno dirà che è arte inferiore? Per niente, questa è arte pura, modellata sulla socio-economia dei nostri tempi.
Non è strano il fatto che la lirica o le opere del passato siano in disarmo e non abbiano più pubblico; e neppure c’è possibilità che ritornino popolari, in nessun modo; resteranno solo per la cultura, finché ci sarà la volontà politica e soldi pubblici a tenerle in piedi. Ma l’arte ha preso altre strade, da tempo, e ha pure sfornato capolavori. E continuerà a farne.