segni

N.51 Giugno/Luglio 2024

rubrica

Piccoli segni tra le righe, un universo di emozioni

Che la musica intesa come testo musicale sia un complesso di segni è evidente: le partiture possono trovarsi davanti a nostri occhi, ma sono lì per qualcosa d’altro. Rimandano a un complesso di suoni che i musicisti sanno decodificare e rendere vivo. Sembrerebbe un semplice meccanismo di traduzione invece il segno musicale è diventato terreno di un’immensa letteratura che va dalla storia alla critica, all’estetica, alla psicologia e a tante altre discipline, senza che si sia venuti a capo di una spiegazione logica.

Se è assodato che una musica è un sistema di segni portatori di senso, arrivano però subito le domande: come mai vi sono tante esecuzioni diverse di una stessa musica? Qual è il senso preciso di una musica? In che cosa consiste la relazione fra significante (esecuzione musicale) e significato (effetto musicale)? Cosa è che fa sì che una musica sia recepita in tanti modi diversi? In che cosa consiste il piacere estetico derivante da quelle minuscole macchiette tonde piazzate fra una riga e l’altra? E via di questo passo.

Sono tutti busillis che non hanno ancora trovato risposte scientifiche e forse non riusciranno mai a trovarne perché si tratta di razionalizzare quello che è per sua natura insondabile ovvero l’anima invisibile delle persone in rapporto a tracce visibilissime d’inchiostro. Ci sono melodie che sono talmente sedimentate nel nostro vivere che ci rinviano a vissuti più o meno lontani a mo’ di madeleine proustiana; altre che ci colpiscono per una qualche ragione ignota, si insinuano dentro di noi, colorano un tratto della nostra vita per poi restare lì, pronte a riemergere chissà quando e chissà dove; ci sono musiche che ci restano del tutto indifferenti mentre altre ci uniscono ad altri, svelando una qualche dimensione spazio-temporale universale. Eppure vengono tutte da semplici grafie sulla carta.

Gli studiosi a questo proposito parlano di simbolo, ossia di qualcosa che unisce un dato fisico – i suoni – con un lato psichico – l’interiorità. La musica è un segnale che viene recepito fisicamente, ma che si interfaccia con il lato più profondo di noi. Ciò non si può esprimere a parole né descrivere esattamente perché rimanda a contenuti emotivi personali e la musica arriva direttamente al cuore dell’uomo. Lasciamo volentieri agli studiosi il desiderio di concettualizzare il senso dei segni musicali e vediamo, piuttosto, il più facile versante dell’effetto di questa impalpabile arte dei suoni.

Perché non iniziare da quel programmatico incipit dell’Orfeo del divino Monteverdi?

Io la musica son ch’ai dolci accenti
so far tranquillo ogni turbato core,
ed or di nobil ira ed or d’amore
posso infiammar le più gelate menti

è la Musica che ha un volto di donna bella, regale, che parla agli spettatori per predisporli all’ascolto.

La Musica è guida spirituale, spinta emotiva che non riesce a fermare Orfeo che vuole addirittura discendere agli Inferi per riprendere la sua amata e ridare vita al loro amore. In realtà si parla del potere della Musica, espressione di sentimenti profondi, interprete di desideri.

Chissà se i Pooh avevano presente queste parole, visto che descrivono lo stesso potere:

Chi fermerà la musica
L’aria diventa elettrica
Un uomo non si addomestica
Le corde mi suonano forte, la molla è carica
Chi fermerà la musica
Quelli che non si sbagliano
Quelli che non si svegliano
Stanno nei porti a tagliarsi le vele
Tu parti nel sole con me

(Chi fermerà la musica, 1981)

Johannes Tinctoris, umanista musicista del Quattrocento, ha stilato una lista degli effetti della musica. Eccone qualcuno: eccitare gli animi a pietà, scacciare la tristezza, sciogliere la durezza del cuore, mettere in fuga il diavolo, mandare in estasi, elevare la mente terrena, stornare la cattiva volontà, allietare gli uomini, risanare i malati, attenuare le fatiche, incitare gli animi alla battaglia, attirare amore, accrescere l’allegria del convito.

Uno psicologo musicista di oggi potrebbe scrivere le stesse cose, o forse troverebbe sfumature ancor più dettagliate. Possiamo però vedere i nostri musicisti all’opera, visto che sono poi loro a suscitare tutti quegli effetti.

Eccitare alla pietà?

Lei chiama l’uomo della strada
”Signore, può aiutarmi?
É freddo e non ho un posto per dormire
C’è qualche posto che può indicarmi
Lui continua a camminare, non guarda indietro
…Sembra imbarazzato di essere lì
…Pensaci due volte
perché c’è un altro giorno per te e per me in paradiso…

(Phil Collins, Another day in Paradise, 1989)

Sciogliere la durezza del cuore?

Una musica può fare
Cambiare nininni o nananna
Una musica può fare
Salvarti sull’orlo del precipizio
Una musica può fare
Una musica può fare
Parlare soltanto d’amore

(Max Gazzè, Una musica può fare, 1998)

Risanare i malati? La musicoterapia ormai dispone di un ventaglio di risorse musicali che curano i disturbi della comunicazione, lo stress, i problemi comportamentali, le malattie degenerative e tante altre.

Attenuare le fatiche? A ciò serviva il canto corale che dalle risaie si levava da donne curve nell’acqua a lavorare:

Quaranta giorni, quaranta notti, riso e pagnotte abbiamo mangià
riso pagnotte pane di riso acqua di fosso lor ci hanno da?
Pane di riso, acqua di fosso sul pagliericcio a riposar
lor si hanno fatto tante promesse a casa in bolletta ci fanno andar

(Alla mattina alle cinque, popolare)

Se per mettere in fuga i cattivi pensieri il classico “canta che ti passa” può bastare, per l’estasi si può attingere a un qualsiasi Adagio di Mozart oppure a un autore minimalista che vi riduce la coscienza a pura pulsazione interiore come uno Steve Reich in Music for 18 musicians e per spronare alla battaglia ci si può immedesimare con la formidabile carica di un canto maori prima di un combattimento ludico.

Come si vede, la potenza e la varietà della musica è la stessa emotività pura e l’in-comprensibilità dell’animo umano. Come poi si possano registrare emozioni dentro a “notine” su un foglio pentagrammato è tutt’altro problema.