gemme
N.58 marzo 2025
Pietre nella storia: dalla roccia informe il simbolo della luce
Bianca Cappello, storica dell'arte e del gioiello, ci guida in un viaggio fino alle origini dell'umanità alla scoperta del valore simbolico e anche spirituale delle pietre preziose utilizzate per fabbricare gioielli che anche oggi restano un potente mezzo di comunicazione non verbale, che riflette valori, bisogni e sensibilità di chi lo indossa

L’uomo è da sempre attratto dalla luce, da ciò che brilla. È una fascinazione atavica, che trova nel gioiello la propria sintesi. Come le gemme degli alberi sbocciano liberandosi dalla dura corteccia, le pietre preziose nascono dal ventre della roccia scura, dalla materia opaca, pronte a splendere.
Come spiega la professoressa Bianca Cappello, storica dell’arte e del gioiello: «Il termine “gioiello” è stato sempre associato a “gioia”, sinonimo di felicità. Io penso sia invece legato al termine greco γίγνομαι (gainomài), che significa nascere, venire alla luce. Distinguersi dalla materia grezza. Rispetto alla roccia, che ha una struttura amorfa in cui gli atomi sono aggregati in modo disordinato, la gemma presenta struttura cristallina, che consente ai raggi luminosi di attraversare la materia ed essere riflessa in modo omogeneo».
Per la loro capacità di riflettere la luce, le pietre preziose sono state per lungo tempo considerate amuleti con proprietà taumaturgiche, nonché un’emanazione del divino. «Al di là del valore ornamentale, sono utilizzate e raffigurate secondo una simbologia precisa», spiega l’esperta. «Per esempio, Sant’Agostino associa le perle alle anime dei beati, mentre Dante cita le gemme nelle tre celebri cantiche della Divina Commedia: più sale verso il Paradiso e più ne parla, come se il loro scintillio fosse un segno dell’avvicinarsi a Dio».
«Sant’Agostino associa le perle alle anime dei beati, mentre Dante cita le gemme nelle tre celebri cantiche della Divina Commedia: più sale verso il Paradiso e più ne incontra, come se il loro scintillio fosse un segno dell’avvicinarsi a Dio»
A partire dal Medioevo, infatti, assistiamo ad una simbolizzazione fortissima della luce, che già nelle cattedrali gotiche irradia gli spazi filtrando da vetrate policrome e rosoni finemente lavorati. Il riferimento è chiaro e riportato anche nei testi sacri: «Citando il Vangelo di Giovanni (Gv 1, 1-18): “In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre, e le tenebre non l’hanno vinta”. È il Verbo, la cui radice si rifà al concetto di “vibrazione”, lo stesso che in fisica spiega la genesi del colore come percezione della radiazione luminosa».
Anche la codifica cromatica ha origine in epoche antichissime: «L’uomo cacciatore indossava collane e monili realizzati con denti di animale, conchiglie, materiali vicini alla loro esperienza. Con il passaggio all’attività agricola e all’allevamento, inizia ad indossare perle di pietre verdi, che evocano germoglio, fertilità e forza vitale. Un altro esempio si ritrova nelle prime civiltà, dove le gemme rosse erano considerate il sangue della terra, identificate con la Dea Madre, emblema di Vita e rigenerazione eterna».

Come la luce, la fiamma è da sempre un elemento magico e apotropaico. «Non a caso, il termine greco Pyr (fuoco) ha la stessa radice di “puro”», prosegue Cappello. «Orafi e fabbri godevano di grande prestigio per la loro capacità di forgiare la materia e trasformarla. Questo ci porta al concetto di homo faber, artefice del proprio destino, che attraverso l’atto creativo perfeziona la propria virtù per tendere a Dio».
Una riflessione che trova corpo nella sintesi del vetro, fragile e prezioso simbolo di purezza. «Il fatto che fosse utilizzato per sostituirsi alle pietre ci fa capire quanto in realtà fosse considerato pregiato, soprattutto se lavorato finemente», spiega la storica. «Ai tempi della Repubblica di Venezia, le ricette per produrlo erano segretissime e tramandate di padre in figlio. Nel XV secolo, lo stesso Barovier, il più rinomato mastro vetraio di Murano, rifiutò per una vita di offrire i propri servigi agli Sforza, al punto che lo stesso Leonardo Da Vinci si ingegnò per inventare tecniche per realizzare simil-gemme da offrire al signore di Milano». L’imitazione di gemme e cristalli si raffina nei secoli: nel Seicento viene messo a punto il flint, materiale vetroso usato per replicare cristallo di rocca e diamanti, cui seguono sperimentazioni e migliorie che portano fino agli odierni “strass”, utilizzati in bigiotteria e nell’alta moda. Una storia di eleganza e pregio, raccontata nella mostra Vetro. Gioielli italiani tra Ottocento e Novecento realizzata nel 2022 al Museo del Bijou di Casalmaggiore e curata da Bianca Cappello e Augusto Panini, co-autori del libro Gioielli di vetro dalla preistoria al terzo millennio.
Naturali o meno, nell’epoca della dematerializzazione le gemme preservano il proprio valore, cui si aggiunge una riflessione più profonda. «Le nuove generazioni sono molto attente ai valori collaterali», afferma Cappello. «Non conta solo la bellezza e qualità della materia, ma che venga estratta e trattata seguendo una filiera etica e sostenibile, lontana da crudeltà e orrori che nei secoli hanno accompagnato l’estrazione di pietre e minerali nei luoghi più poveri e sfruttati del pianeta».
«Non conta solo la bellezza e qualità della materia, ma che venga estratta e trattata seguendo una filiera etica e sostenibile, lontana da crudeltà e orrori che nei secoli hanno accompagnato l’estrazione di pietre e minerali nei luoghi più poveri e sfruttati del pianeta»
Anche nell’epoca contemporanea, il gioiello è un potente mezzo di comunicazione non verbale, che riflette valori, bisogni e sensibilità di chi lo indossa. «Non dobbiamo dimenticare che la luce è segno di speranza – riflette l’esperta – anche nei momenti più oscuri, va portata con sé. Basta accendere la televisione o guardare i social per imbattersi nell’oscurità dell’uomo. Abbiamo bisogno di elevarci: come insegnava l’alchimia, dobbiamo trasformarci, raggiungere una forma migliore».
Come una gemma, emergere dalle tenebre per tornare alla luce.

SCHEDA
Bianca Cappello, storica dell’arte e del gioiello. Si è formata all’Università degli Studi di Firenze con laurea in Storia dell’Oreficeria e delle Arti Minori, proseguendo la formazione con la Scuola di Specializzazione dell’Università degli Studi di Siena. A Milano ha conseguito vari corsi di specializzazione in gemmologia, argenteria antica e analisi del gioiello antico presso CisGem della Camera di Commercio di Milano e l’Istituto Gemmologico Italiano.
È docente di History of Applied Art presso Istituto Europeo di Design di Milano, di storia del Gioiello presso Università Sapienza di Roma, di Storia delle Arti Decorative presso Accademia di Belle Arti di Ravenna, di Storia del Gioiello presso Accademia di Belle Arti di Verona. E’ ideatore, coordinatore e docente del Master in Design del Gioiello Contemporaneo presso Accademia di Belle Arti di Venezia. Collabora con Università, Accademie di Belle Arti ed enti pubblici e privati come coordinatore e curatore di conferenze, workshop e seminari sulla Storia del gioiello, attività che completa con pubblicazioni su questo argomento con le principali case editrici. È curatore di mostre sul gioiello per musei ed enti pubblici e consulente scientifico di collezioni museali e private. È membro della Society of Jewellery Historians di Londra. (biancacappello.it)
foto Sogand Nobahar