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N.17 Gennaio 2021

L'ASSOCIAZIONE

Respirano aria di casa i figli di Chernobyl

Da oltre vent'anni le famiglie di Abbracciaperte accolgono i bimbi bielorussi che in primavera atterrano in Italia per i soggiorni terapeutici che diventano amicizie profonde

L'ASSOCIAZIONE Respirano aria di casa i figli di Chernobyl Da oltre vent'anni le famiglie di Abbracciaperte accolgono i bimbi bielorussi che in primavera atterrano in Italia per i soggiorni terapeutici che diventano amicizie profonde

Quando mancano le parole, basta un abbraccio. Per salutarsi, per dire grazie, per darsi appuntamento alla prossima primavera o a quando sarà possibile rivedersi. Da oltre venticinque anni, a Gadesco c’è un gruppo di famiglie pronte ad accogliere bambini e bambine provenienti dalla Bielorussia. Un mese all’anno, in primavera. Si chiamano “Soggiorni terapeutici”, organizzati dalla metà degli anni Novanta dall’associazione Abbracciaperte (comitato della fondazione “Aiutiamoli a vivere” di Terni) per offrire un breve periodo di sollievo a chi è nato dopo il disastro nucleare di Chernobyl. Troppo giovani per ricordarlo, le nuove generazioni sono costrette a fare i conti con un’eredità dolorosa, che ancora oggi lascia tracce di cesio nel loro sangue.
«Può sembrare assurdo ospitare un bambino in pianura padana per respirare aria buona… Eppure già questo può farci capire parecchie cose». Claudia Feraboli è da 23 anni segretaria e tesoriera della sezione locale dell’associazione, fondata a Gadesco nel 1996 su impronta dell’iniziativa avviata un anno prima nel Comune di Bonemerse. Con il marito Graziano e la figlia Monica fu tra le prime famiglie a spalancare la porta di casa Formis. Prima a Natasha, poi a Katia. «Con ognuna è stata un’esperienza diversa, come differenti sono le nostre culture. Per chi arriva non sempre è semplice… Immagina di prendere un aereo e atterrare in un Paese dove non conosci nessuno, non parli la lingua e nulla è familiare. Sai che si chiama Italia, sai che sei qui per stare bene, anche se il tuo mondo è lontano».
I primi gruppi contavano oltre 25 partecipanti tra i 7 e i 10 anni di età, provenienti da Rogaciov (Rahačoŭ) e altre piccole comunità rurali. Un volo di oltre duemila chilometri per raggiungere Cremona. Ovunque sia. «Al momento della partenza, molti genitori non hanno idea di dove saranno mandati i loro figli. Allo stesso modo, noi non conosciamo il passato di questi bambini, che volte hanno alle spalle situazioni economiche e familiari molto difficili».
Dai ricordi riemerge il piccolo Artur, poco più di sette anni trascorsi con la mamma, senza mai conoscere il padre. «Un giorno chiese al parroco che lo ospitava: posso chiamarti papà?» E così è stato. «Oggi Artur è sposato, ha un figlio… Quindi il nostro don è diventato nonno!», scherza Claudia, che ancora conserva le foto dei mesi condivisi.
I soggiorni si svolgono tra aprile e giugno, per consentire al gruppo di frequentare la scuola presso l’istituto di Ca’ de’ Mari, accompagnati da un’insegnante bielorussa ed un’interprete. I pomeriggi trascorrono in paese o in oratorio, con giochi e iniziative per favorire l’integrazione e il contatto tra culture. Le domeniche sono l’occasione per qualche gita al “Boscone” di Pizzighettone o al parco della Preistoria di Rivolta d’Adda, senza dimenticare l’immancabile scalata in cima al Torrazzo, con tappa obbligata in gelateria. «Una volta siamo andati a Venezia, un’altra a Rimini – racconta Claudia – era presto per fare il bagno, l’acqua era fredda ma è stato impossibile trattenere i bambini. Molti di loro non avevano mai visto il mare. È incredibile quanto ciò che spesso diamo per scontato possa essere speciale».
Il momento degli addii è sempre il più difficile, ma spesso i legami non si spezzano con il volo di ritorno. «Siamo ancora in contatto con Natasha, la nostra prima bambina – prosegue – Nell’estate 1999 è tornata a trovarci con i suoi genitori, tre anni più tardi ci ha ospitati in Bielorussia, a casa della famiglia. È stata la nostra interprete, grazie all’italiano imparato durante i mesi trascorsi a Cremona».

«Abbiamo aggiunto un terzo letto
nella cameretta delle bimbe
per fare spazio a Katerina»

L’entusiasmo di Claudia ha contagiato la figlia Monica, oggi sposata e mamma di due bimbe, felici di ripetere l’esperienza: «Abbiamo aggiunto un terzo letto nella loro cameretta per fare spazio a Katerina», ricorda. La mancanza di una lingua comune è senz’altro la difficoltà maggiore, ma serve un po’ di creatività, a suon di gesti e con gli “spizzichi di russo”, un inossidabile “dizionario” fai-da-te redatto dall’associazione, in cui trovare parole chiave e rispettive traduzioni per la comunicazione quotidiana. «E quando non basta… Anche il dialetto cremonese fa la sua parte» svela Monica con allegria. «Capita di non capirsi, ma tutto si risolve in una risata».
A casa cucina rigorosamente italiano: per i piccoli ospiti la Coca-Cola è la bibita preferita, mentre alla pizza c’è chi, come Katerina, preferisce la minestra, più vicina ai sapori mitteleuropei. Quando la nostalgia si fa sentire, basta una telefonata o una Skype call con i genitori in Bielorussia, che per il viaggio di andata riempiono le valigie dei loro bimbi con doni destinati alle famiglie ospitanti. «Arrivano con questi bagagli piccolissimi, dentro c’è giusto lo stretto necessario, per lasciare spazio ai regali. A volte hanno appena un paio di magliette, o le scarpe rotte. Facciamo il possibile per rimandarli a casa con tutto quello che occorre. È il nostro modo di aiutare, per restituire la ricchezza che questa esperienza ci porta>, afferma Monica. «Prima di tornare in Bielorussia, Katerina ha messo in valigia i bastoncini dei ghiaccioli e le carte di caramelle». Ricordi di ciò che è stato dolce da portare con sé, per ricordare anche a chi resta che nulla è scontato, nulla è da buttare.

L’anno scorso l’esperienza è stata interrotta dalla pandemia: «Abbiamo sospeso i viaggi, la tradizionale cena in oratorio, la lotteria e tutte le iniziative organizzate durante l’anno per raccogliere i fondi necessari a pagare il biglietto aereo per tutti i bambini che vengono a trovarci ogni anno». La comunità di Gadesco non si è persa d’animo, e quest’anno ha riconvertito l’iniziativa solidale nella consegna di pacchi alimentari destinati alle famiglie bielorusse. Non mancano i dolci e qualche sorpresa speciale per i bimbi. «Per dire che siamo qui e li aspettiamo. Se non quest’anno l’anno prossimo».