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N.41 Maggio/Giugno 2023
Stuart, il rugby come la vita: «Devi avanzare verso la meta, ma non puoi farlo da solo»
Stuart Till è cresciuto sull'isola di White, con una palla ovale tra le mani. E ha portato a Cremona la sua passione per uno sport che... non è solo un gioco
Stuart tiene tra le mani un pallone ovale. “Questo rappresenta la vita che vorrei vivere. Se riesco a giocarla come il rugby, sarò contentissimo, perché è ciò che mi fa stare bene.”
L’accento britannico tradisce le origini: cresciuto sull’isola di White – sì, quella della canzone – ha iniziato a giocare a 12 anni, senza più abbandonare la passione per questa disciplina, che ha portato con sé. In Germania, dove si è trasferito dopo l’università per insegnare inglese, poi in Italia, dove vive da 25 anni. A Cremona ha lanciato il primo progetto sportivo, poi tradotto nella fondazione del Rugby Lions Cremona, dove oggi è allenatore.
Mentre palleggia da un palmo all’altro, gli sfugge un sorriso: “Il rugby è un po’ come la vita – afferma – l’obiettivo è segnare una meta, un punto da raggiungere”. Con lo sguardo fissa un punto invisibile di fronte a sé. “Devi avanzare, ma non puoi farlo da solo: avrai sempre bisogno di compagni di strada che ti aiutano a andare avanti, per superare la difesa e segnare un punto”.
Tutto si gioca sullo spazio, ceduto e rubato, da conquistare un metro alla volta, a colpi di strategia e determinazione. Il confronto è necessario, il rispetto delle regole è fondamentale: “Quando si parla di rugby, la maggior parte delle persone pensa ai placcaggi e ai giocatori schiacciati nella mischia, ma tutte queste azioni non sono volte ad abbattere l’avversario, bensì a farsi strada, a guadagnarsi la chance di andare oltre l’ostacolo. Se sono più veloce, più intelligente, più forte dell’avversario, conquisterò il mio spazio in modo onesto, senza danneggiare gli altri”.
Non c’è vittoria senza rispetto, non c’è partita senza terzo tempo: “Che si vinca o si perda – spiega Stuart – quello è lo spazio per dimenticare ciò che è avvenuto in campo e stare insieme”. Un po’ come quando hanno accolto una squadra di detenuti di Ca’ del Ferro nel campo da rugby di via Milano. Un fazzoletto di terra per giocare, come uomini liberi.