voce
N.35 Novembre 2022
«Sogno un coro di speranza dietro le sbarre di un carcere»
Francesca ha trovato nel canto il suo «angolo di felicità» e oggi lo condivide con chi affronta la sfida della fragilità e del distacco, in gruppi di recupero e in carcere
Milano, primi anni ’80 del secolo scorso, zona San Siro. Una Fiat 500 arranca fendendo la nebbia poi, con un improvviso sussulto, si ferma in mezzo alla strada. Dal finestrino posteriore si affacciano gli occhi stupiti e spaventati di una bimba mentre, con qualche imprecazione, scende la donna che era alla guida. «Quel piccolo imprevisto si verificava abbastanza spesso e mia madre, per tranquillizzarmi, si metteva a cantare», rievoca Francesca all’inizio del nostro incontro. Sicuramente la canzone («era di Caterina Caselli, non ricordo quale») aveva un effetto taumaturgico: non solo rasserenava la piccola e sembrava proprio aiutare la macchina a ripartire ma, ancora oggi, accompagna i ricordi di quella bambina diventata donna.
Ed è ancora la voce, come un salvagente a cui aggrapparsi, che riemerge nel mare tempestoso dell’adolescenza di Francesca. «La mia famiglia si era trasferita a Crema, avevo forzatamente sospeso le attività che più amavo e improvvisamente mi ritrovavo con un corpo che faticavo a riconoscere», ci racconta seguendo il flusso dei ricordi. «Proprio nel momento in cui ero maggiormente insicura di me stessa e mi vergognavo a fare qualsiasi cosa scoprii, grazie allo studio del pianoforte, che avevo una voce. E che non solo mi piaceva, ma ero anche in grado di utilizzarla!». Da allora la passione per il canto non ha più abbandonato Francesca Salucci: «In quel momento – specifica – mi sono giurata che non l’avrei mai usato per il lavoro, sarebbe rimasto una cosa soltanto mia, il mio rifugio segreto, il mio angolo di felicità».
Ma nella vita spesso non siamo fedeli ai nostri propositi, particolarmente quando si è persone passionali, e Francesca sicuramente lo è. Così il canto, sfuggendo dal santuario in cui era stato idealmente rinchiuso, dilagò. «Nel mio percorso artistico ho incontrato la Compagnia teatrale Caino e Abele, un gruppo amatoriale legato all’oratorio di Offanengo. Ho colto la sfida, insieme ad altri, di utilizzare lo strumento del musical per portare ai giovani della provincia una proposta nuova, alternativa alle poche esistenti, legata all’espressività». Francesca, con la Compagnia teatrale Caino e Abele, ha collaborato alla fondazione nel 2010 dell’Accademia del Musical e tuttora lavora con la stessa Compagnia alla realizzazione di numerosi spettacoli. «Insegno canto ad una decina di adolescenti e, attraverso giochi ed esercizi, cerco di fornire loro qualche strumento per imparare ad ascoltare sé stessi e gli altri».
La stessa attitudine l’ha condotta a sperimentare l’uso della voce nel proprio impegno di educatrice, soprattutto durante la conduzione di gruppi di persone con problemi di dipendenza. «Per esempio – racconta Francesca per aiutarci a comprendere meglio – quando incontro persone in difficoltà nell’esprimere emozioni, faccio ripetere una parola, sempre la medesima, usando diverse intonazioni, prima arrabbiata, poi felice, infine triste. Sono semplici esercizi per tornare in contatto con il proprio mondo interiore. Non si tratta solo di cantare, ma di farlo comunicando qualcosa agli altri».
Come reagiscono le persone quando si propone loro di lavorare con la voce?
«È importante che si sentano libere di partecipare e, in questo, il gruppo aiuta molto. Poi ogni esperienza è una storia a sé; l’ultimo gruppo che ho tenuto in alcologia ha reagito molto bene, si sono divertiti e hanno condiviso riflessioni davvero significative riguardo al lavoro svolto insieme».
E quale sarà la prossima avventura che, come educatrice e psicodrammista, affronterai?
«Si sta avviando un centro diurno nella Casa Circondariale di Cremona dove verranno proposte, ad un gruppo di detenuti, diverse attività. Una di queste verrà condotta da me».
Visto che ci hai raccontato che ogni esperienza è diversa, cosa ti piacerebbe che accadesse?
«Il mio sogno sarebbe arrivare a istituire un coro stabile all’interno del carcere o, più semplicemente vorrei che, pur rimanendo rinchiusi tra le mura, riuscissero attraverso le proprie canzoni a compiere il giro del mondo. Incontrerò persone di diverse culture e provenienze, ognuna con i propri canti tradizionali. Se un ragazzo del Gambia ci insegnasse la ninna nanna che gli cantava la nonna, vorrei intonarla insieme con tutti gli altri per riportarlo, per un attimo, lontano da Cremona, più vicino alla sua storia. Sarebbe un modo per ritrovare le proprie radici e condividerle con gli altri».
Hai qualche timore?
«So che la strada sarà faticosa, mi farà mettere in discussione tante volte l’obiettivo. Sarà fondamentale all’inizio darsi del tempo per creare un clima di fiducia reciproca, poi vedremo quel che accadrà« conclude Francesca, non perdendo il suo ottimismo.
Aveva proprio ragione il poeta greco Pindaro, ricordato per i canti corali greci, quando affermava che “le speranze non sono che i sogni di coloro che sono svegli”.