cuore
N.33 Settembre 2022
C’è la promessa di una famiglia nello sguardo di “Occhi azzurri”
«Tutto è iniziato nel 2015, quando abbiamo deciso di andare in piazza per cercare una risposta su una malattia genetica rara, quella di Orlando». Filippo Ruvioli racconta la storia e i sogni di "Occhi Azzurri". Che è la storia e sono i sogni di una famiglia
«Eccoli qui, gli occhi azzurri».
Filippo solleva per un istante gli occhiali da sole sul volto di Orlando. La luce del pomeriggio cattura nell’iride di padre e figlio la stessa sfumatura, che ricorda il colore del cielo.
Immersi nel parco del Morbasco, passeggiano sulle orme del loro pastore tedesco. Orlando indica lo spazio verde e incolto davanti a sé, dove presto – in un certo senso grazie a lui – sorgerà un progetto nato da una famiglia per aiutarne altre.
«Tutto è iniziato nel 2015, quando abbiamo deciso di andare in piazza per cercare una risposta su una malattia genetica rara, quella di Orlando», racconta il papà. «Un esame genetico ha evidenziato una delezione nella regione 2p16.3 del gene NRXN1. Per dirla in modo semplice, gli manca un pezzetto di dna». Dall’infinitamente piccolo si delinea una condizione clinica che cambia il corso della vita per l’intera famiglia.
«Avere a che fare con una malattia genetica rara significa sentirsi dire continuamente “non c’è niente da fare, bisogna aspettare”. Cercare una cura non è vantaggioso dal punto di vista economico, e in ogni caso qualsiasi investimento non avrà una ricaduta immediata sulla tua situazione… Senza contare che riparare il cervello non è come aggiustare un braccio rotto. Ma per due genitori una risposta così non può bastare».
La volontà di approfondire li porta a cercare risposte nella ricerca, rivolgendosi a centri specializzati e associazioni che raggruppano persone con un’esperienza simile. Come spesso accade, la rete di contatti crea le basi per qualcosa di più grande, che si traduce nella fondazione della onlus Occhiazzurri e in una festa di piazza, nel cuore di Cremona. «Era l’8 luglio 2017 – ricorda Filippo – Un’intera città è intervenuta a sostegno di una famiglia e di un progetto cresciuto nel tempo. Quella sera abbiamo fatto una promessa, che ora stiamo realizzando».
Con una mano indica il cartello di un cantiere, dove presto sorgerà un centro ricreativo e riabilitativo pensato per accogliere bambini disabili e le loro famiglie. L’idea ha preso forma dall’esperienza di un centro estivo per bambini con disabilità cognitive, maturata nei quattro anni precedenti. «Abbiamo intercettato un bisogno cui cerchiamo di rispondere, per aiutare altre famiglie a trasformare l’energia negativa che deriva da determinate situazioni in una spinta propulsiva».
Oltre ai finanziamenti ottenuti tramite bandi pubblici e privati – tra cui il piano Interventi Emblematici Maggiori di Fondazione Cariplo – il progetto ha ricevuto il sostegno da docenti e ricercatori di università italiane ed estere, oltre ad aziende specializzate nell’innovazione tecnologica e biomedica.
«L’entusiasmo è contagioso» aggiunge Filippo, che con un gesto assicura il berretto sulla fronte di Orlando. Un’ombra oscura lo sguardo: «In più occasioni avremmo potuto non rialzarci più, invece abbiamo mantenuto il nostro progetto di vita familiare al centro. Guardare al prossimo ci ha permesso di restare a galla. Anche dopo il Covid, anche dopo che è mancata mia moglie Silvia, la loro mamma».
Sebastiano, il figlio maggiore, cammina un passo più in là. Ha l’aria timida e lo sguardo vigile di un adulto, nonostante i suoi 14 anni. «Da subito ha letto la cosa come va letta – racconta il papà – Ricordo che una volta, uscendo dalla scuola elementare, un suo compagno di classe faceva domande insistenti su Orlando, chiedendo perché fosse “diverso” dagli altri bambini. “Te l’ho già detto – gli ha risposto – è la natura che vuole così”. Aveva solo otto anni, ma da quella frase noi siamo ripartiti. Ci ha fatto capire che tutto questo può accadere e, nonostante tutte le difficoltà oggettive, non deve diventare un peso».
La mano premurosa del fratello scaccia un paio di zanzare dal viso di Orlando, che osserva la radura incolta. «La scelta di realizzare il centro in un parco non è casuale – prosegue il padre – Quando Orly si trova sotto una pianta, quando sente il vento, il sole o la pioggia, ha un livello di percezione sensoriale che gli permette di comunicare il proprio stato d’animo. Ciò che stiamo costruendo serve a far capire che si può fare ancora tanto e in modo diverso: occorre cambiare approccio e prendersi carico delle famiglie e del loro contesto di vita, dove trasferire le esperienze terapeutiche più efficaci. È un progetto ambizioso, ma senza ambizione non c’è progresso».
Il passeggino fa dietrofront sul sentiero sterrato: è l’ora della merenda. Stringendo a tratti la mano di Orlando, Sebastiano controlla che il percorso sia privo di ostacoli. Il sole riverbera sui suoi occhiali da vista e rivela uno barlume di azzurro oltre le lenti. «In famiglia abbiamo tutti gli occhi azzurri – puntualizza il papà – sfumature diverse, ma simili. Come il nostro logo, composto da quattro quadrati blu agganciati in un punto centrale e racchiusi in un cerchio imperfetto, ma non per questo incompleto».