cuore

N.33 Settembre 2022

RUBRICA

«Voglio essere colpito, stupito, affascinato, commosso, divertito…»

Da "Nuovo Cinema Paradiso" a Woody Allen: così il cinema cattura il cuore... oltre lo schermo

Nuovo Cinema Paradiso. Il Drammatico Incendio del Cinema / Youtube

C’è una scena tra le più famose di Nuovo Cinema Paradiso (di Giuseppe Tornatore, 1988) in cui il proiezionista Alfredo, sollecitato dal pubblico che – rimasto fuori dalla sala – protesta per non aver potuto vedere il nuovo film con Totò, I pompieri di Viggiù (1949), compie un piccolo miracolo: gira il proiettore in modo che il film appaia sulla facciata di una casa che dà sulla piazza, consentendo a tutto il pubblico di assistere a una proiezione eccezionale. La colonna sonora di Morricone si dispiega nel tema malinconico mentre il fascio di luce attraversa pezzi di storia del cinema (come la locandina de L’angelo azzurro, di Josef von Sternberg, 1930) prima di andare a mettere a fuoco la figura snodata del principe De Curtis sulla casa di fronte. Il pubblico gioisce per il film, finalmente a disposizione di tutti, mentre Alfredo e il piccolo Totò, da veri innamorati del cinema, assaporano il doppio spettacolo della proiezione e della folla.

Basterebbe questa sequenza per spiegare la relazione tra cinema e cuore; quel rapporto viscerale, quanto evanescente, dello spettatore con le immagini che prendono vita sullo schermo, trasportandolo in una realtà nuova, sospesa tra reale e irreale. Si tratta di quell’Amour du cinéma, per citare il libro di Claude Mauriac, conosciuto dai critici francesi anche come “cinéphilie”. Una passione che chiede di essere espressa, gridata, praticata.
I letterati ci hanno regalato pagine che trasudano amore per i film, mentre descrivono la loro esperienza di spettatori: «Quando guardo un film, voglio essere l’ultimo degli spettatori, quello che si rifiuta di capire la trama finché non è manifesta, quello zuccone e innamorato del cinema. Voglio cadere nella storia come si cade nelle sabbie mobili. Voglio essere colpito, stupito, affascinato, commosso, divertito.

Voglio avere un ruolo passivo. Voglio essere uno spettatore e basta»¹ , confessa Edoardo Nesi.

¹ Edoardo Nesi, Io e Sherimon, in Franceso Casetti, Emanuela Sgarbi (a cura di), Visioni tra cinema e letteratura, «Panta», n. 26, 2008, p. 118

«…una realtà nuova,
sospesa
tra reale e irreale»

La storia raccontata sullo schermo, come una folgorazione, è capace di spalancare mondi nuovi. «Quel pomeriggio, con l’incipit del film Paramount [Viale del tramonto, di Billy Wilder, 1950], quando la cinepresa inquadra il corpo morto di Joe Gillis galleggiante nella piscina, e con voce fuori campo l’anima stesa del defunto prende a raccontare lo svolgersi a ritroso degli eventi, ho immediatamente avuto conferma – e da un film americano – che lo spirito dell’uomo può essere eterno.

Uscire fuori dal proprio corpo morto raccontando quel che è successo sulla terra: dentro di me, corrispondeva a una verità sentita»² .

Anche il cinema ha portato in scena, in molti e diversi modi, questo legame viscerale tra il film e lo spettatore. In Splendor, di Ettore Scola (1989), la sequenza del bambino che siede, solo, su uno sgabellino di fronte alla maestosità di un lenzuolo tirato, pregustando le meraviglie dello spettacolo, non sta a significare solo la curiosità infantile, ma un affidamento totale per un telo che – quasi come una grande madre – racchiude tutte le storie possibili.

² Miro Silvera, Billy Wilder e Il viale del tramonto, in Ibi, p. 58.

Mentre la cineflia di Woody Allen si è spinta a immaginare addirittura un attore che, attratto dalla spettatrice rimasta in sala a vedere lo stesso film, La rosa purpurea del Cairo (1985), per ben cinque volte, esce dallo schermo e inizia a frequentarla nella vita reale, in una paradossale convivenza di ombre ed esseri viventi.

“La rosa purpurea del Cairo”. Woody Allen (1985) / Youtube

Ciò che i numerosi atti d’amore per il cinema hanno in comune è la convinzione per cui l’incontro tra il film e il suo spettatore avviene nella sala cinematografica (o comunque laddove si organizzi una proiezione, anche ambulante). È qui che il rito della visione di esplica nella sua dimensione più piena, complici il buio, l’immersività, l’attenzione, la presenza di un pubblico che condivide le stesse immagini e si emoziona per le medesime storie.
Certo, gli esempi proposti sono stati realizzati in un periodo in cui la crisi della settima arte, mentre spingeva gli autori a parlare metalinguisticamente del cinema e degli spettatori, non lasciava ancora intravvedere i profondi cambiamenti che il digitale avrebbe apportato.
Oggi è ancora la sala il luogo dove si accende e arde il cuore degli spettatori? Nella crisi più travolgente che i cinematografi abbiano mai attraversato dall’inizio della loro storia, arrivano timidi segnali di incoraggiamento dai festival del cinema. Venezia, Roma, Torino, per restare in Italia, sono città che sembrano vivere una dimensione surreale durante l’incruenta invasione di spettatori, molti dei quali giovani.
Forse non è ancora giunto il tempo di quell’incendio, evocato da Tarantino in Inglourious Bastards (2009), che sancisce la fine della Storia (quella auspicata del nazismo) e insieme la fine del cinema, matrice di storie. L’incendio, che segna una svolta cruciale anche nella sequenza di Nuovo cinema Paradiso richiamata all’inizio, ci ricorda che il cinema – come titolava un bellissimo libro di Paolo Cherchi Usai – è una passione infiammabile. Per questo va coltivata e protetta. Ma va anche opportunamente celebrata. Perché, senza storie, la nostra vita è infinitamente più spoglia.