giochi

N.30 Aprile 2022

VALORI

Inventiamo un altro “Monopoli” che ci appassioni all’equità

Oltre all'evasione, i giochi sono il racconto della realtà (sociale, economica, tecnologica...) in cui viviamo. E contribuiscono a costruirne l'immaginario, a formarne i principi, a condizionarne i comportamenti

L'iconico Mr. Monopoly, la mascotte del gioco da tavolo più venduto al mondo dipinto da uno street artist su un muro di Parigi (Julian Hochgesang / Unsplash)

I giochi ci parlano e ci raccontano quanto l’evadere, il divertirsi, il ricreare… siano incatenate alle condizioni socio-economiche, tecnologiche e culturali tipiche di un’epoca.
Negli anni Cinquanta, quando ancora i frigoriferi entravano nelle case solo dei ricchi e il poco cibo che avanzava si conservava nella “moschera”, una specie di scatola appesa al soffitto della cantina, costruita in asticelle di legno e tessuto anti- mosche, si giocava con i noccioli di pesca conservati quando questo gustoso frutto si mangiava solo d’estate. Servivano cinque noccioli per ogni giocatore che doveva raccoglierli, lanciandoli in alto prima uno alla volta e poi, progressivamente due, tre fino ad arrivare a quattro in un solo lancio. In prima battuta ci si aiutava con due mani, poi con una sola e infine si doveva ripetere l’operazione su una sola gamba. Vincitore risultava chi superava i vari gradi di difficoltà non lasciando cadere nessun nocciolo.
Nelle sere d’estate, soprattutto tra maggio e giugno, ci si trovava lungo gli argini o in paese per rincorrere le lucciole nel tentativo di prenderne una tra le mani, socchiuderle e contemplare insieme la meraviglia di quella luce. Si trattava di giochi a costo zero, che potevano essere fatti solo in compagnia e in presenza, fortemente condizionati dalle stagione. Il gioco che convocava l’intera comunità era l’albero della cuccagna. Veniva fatto due volte all’anno, in occasione della sagra e della festa dell’oratorio. Un alto palo, cospicuamente unto di grasso, vedeva in cima un cerchio cui erano appesi formaggi, salami, polli, cacciagione. Diverse squadre, paesane e non, si contendevano l’ambito bottino a patto di riuscire a vincere la vischiosità del palo e raggiungere la cima. Le strategie di conquista erano le più disparate e suscitavano l’entusiasmo delle varie tifoserie che speravano di poter poi condividere tanta abbondanza. Del resto il bottino sarebbe finito sulla tavola dei vincitori e dei loro amici. Erano anni in cui la mensa quotidiana era frugale a differenza del pranzo della domenica o di alcune ben selezionate feste quando si arricchiva di cibi succulenti e abbondanti.

Ora le pesche si possono gustare tutto l’anno, le lucciole sono scomparse, il pranzo della domenica non si discosta molto da quello feriale e, soprattutto, le sagre come evento comunitario sono estinte. E non ci sono più nemmeno “le stagioni”.

Si trattava di giochi a costo zero,
che potevano essere fatti
solo in compagnia e in presenza

Intorno agli anni Sessanta tra le famiglie borghesi si cominciava a diffondere il gioco da tavolo del Monopoli. La sua origine è controversa ma pare ormai accertato che fu inventato da Elizabeth Magie nel 1903. Fu pubblicato in Italia da Angelo Mondadori nel 1936 e venduto a Milano nella cattedrale del mercato “La Rinascente”. Magie l’aveva concepito come strumento didattico: seguace dell’economista H. George, riteneva che le proprietà e non il lavoro dovessero subire l’imposizione fiscale. I giocatori,massimo sei, spostavano la loro pedina su un tabellone secondo il risultato ottenuto dal tiro di due dadi, e in base alla somma iniziale di denaro ricevuta, potevano acquistare terreni, costruire case, alberghi e palazzi. L’obiettivo era perseguire il fallimento degli altri giocatori sfruttando imprevisti, cambi, imposte e espropri. Denaro e caso erano i veri protagonisti del gioco. Anche se l’ idea di fondo della inventrice era quella di far vivere l’esperienza delle implicazioni negative dell’accumulo di capitale, Monopoli divenne il simbolo della cultura capitalistica tanto da essere proibito a Cuba e in Unione Sovietica fino al crollo del muro di Berlino. In Italia coinvolse soprattutto le famiglie della nuova e media borghesia, protagoniste del boom economico. I figli dei contadini e degli operari ambivano a studiare, vedendo nella scuola e nel sapere la sola opportunità per un’ascesa sociale. Non era per loro un’aspirazione diventare ricchi, piuttosto desideravano poter svolgere un lavoro che consentisse il riconoscimento della loro dignità. Erano convinti che la fatica, lo studio e non il caso e il denaro potessero realizzare la loro ambizione.
Oggi Monopoli, anche nella sua versione digitale, è diventato il gioco più diffuso nel mondo. In Italia si stima che circa due milioni di persone siano coinvolte. Si perpetua la convinzione che soldi e caso siano le fonti decisive del benessere, del cambiamento delle sorti e della possibilità di diventare l’uomo più ricco al tavolo. Studio e scuola sono faccende da ingenui. Infatti Monopoli non è stato o non è solo un gioco, è diventato la narrazione della realtà. È evidente a tutti che la ricchezza mondiale sia concentrata nelle mani del 20% della popolazione, che pochi hanno causato il fallimento di molti, e che non si sono nemmeno cercate strategie per far rientrare i perdenti nel gioco.
Sarà possibile proprio attraverso l’invenzione di un nuovo gioco ricreare e narrare la realtà in termini di solidarietà e cooperazione, di equa distribuzione della ricchezza prodotta dal lavoro di tutti?
Magari qualcuno ci sta già pensando! Se cosi fosse tutti dovremmo acquistare questo nuovo gioco. Ancora una volta, più di un gioco.