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N.06 Dicembre 2019

PROSTITUZIONE

«Ti ho risposto “Joy” ma il mio nome è un altro»

Una volontaria dell'unità di strada della Caritas di Parma ha raccontato a "Traiettorie di sguardi" le storie delle donne vittime di sfruttamento aprendo l'incontro del Maristella con la lettura della "lettera a un cliente" di padre Franco Nascimbene

foto di Sara Kurfess on Unsplash

«La prostituzione in Italia vale 3,9 miliardi di euro». Lo scriveva il Codacons poco più di un anno fa. Sono i soldi pagati dai clienti lungo le strade che finiscono nelle mani di madame e sfruttatori.

Poi ci sono i soldi di Anita, che i pochi spiccioli che è riuscita a tenere per sé li manda in Nigeria al fratello che – mentre lei è in Italia – dovrebbe prendersi cura di sua figlia. «Quella sera era furiosa», ha raccontato a “Traiettorie di sguardi” Elena Maradini, operatrice dell’unità di strada della Caritas di Parma che esce di notte per offrire conforto alle prostitute lungo le strade. «Era furiosa perché aveva scoperto che suo fratello quei soldi se li beveva. Quella sera per la prima volta, dopo due anni, ci ha parlato della sua bimba e ci ha mostrato una sua foto». Le manca, vorrebbe tornare, ma non ha ancora pagato il suo debito. Altri soldi.

Per raggiungere l’Italia le ragazze e le loro famiglie devono pagare. E i soldi non bastano, «anche perché vengono manipolate, illuse e imbrogliate… 35mila naire (la moneta nigeriana, ndr) non sono 35mila euro. Ma loro lo scoprono quando è troppo tardi» e la prostituzione è già una catena di profitti che le avvinghia. Durante la serata a Cremona Elena, insieme all’avvocato Ilaria Creti – che con lei condivide l’esperienza dell’unità di strada – sceglie dei simboli. Tra questi anche una banconota da 20 euro accartocciata e gettata sull’asfalto. «Ma non è questo il prezzo. C’è quello che pagano con il corpo, quello psicologico di chi finisce con perdere la propria identità».

Come scrive Joy nella “Lettera a un cliente” letta proprio per introdurre la serata di “Traiettorie di sguardi”, al buio, nel cortile dell’oratorio.

Il testo è tratto dal volume “Ci precedono nel Regno di Dio” (ed. EMI) di Franco Nascimbene, padre Comboniano impegnato in prima linea sul fronte dello sfruttamento della prostituzione.

Ne riportiamo alcuni passaggi:

«Una volta
mi hai chiesto l’età
e ti ho risposto “vent’anni”,
ma ne ho solo
diciassette»

“Caro Giovanni,fino a qualche mese fa venivi a cercarmi vicino al ponte. Poi, insieme a tua moglie, con i tuoi vicini e con l’aiuto dei poliziotti ci avete scacciate da lì perché non è bene che si vedano delle prostitute vicino casa tua. Così adesso vieni a cercarmi qualche chilometro più in là, tutti i martedì alle 23.30.Ogni settimana mi hai cercata, mi hai usata, mi hai pagata. Ma ti sei mai chiesto chi c’è dietro quel corpo che continui a comprare per dieci euro alla volta?

Quando mi hai chiesto il mio nome, ti ho risposto “Joy” ma il mio nome è un altro. Quando mi hai chiesto di dove sono ti ho risposto “giamaicana”, ma io sono nigeriana. Una volta mi hai chiesto l’età e ti ho risposto “vent’anni”, ma ne ho solo diciassette.

Una volta mi hai chiesto perché portavo sempre questa parrucca rossa e perché mi coprivo il volto con una maschera di creme bianche. Ti ho risposto che questo serviva per ripararmi un poco dal freddo della notte e che più assomigliavo ad un’europea più facilmente trovavo clienti.

Tutto questo in parte è vero, ma forse il motivo più vero è un altro. Voglio distinguere “Joy di notte” con tacchi alti, parrucca, minigonna e crema bianca, da quella che io sono in realtà.

«Abbiamo firmato un contratto
con cui mi impegnavo
a pagare quarantamila euro
in cambio di documenti,
biglietto di viaggio
e sistemazione in Italia»

La mia famiglia vive in un appartamentino nelle periferia di una grande città della Nigeria. Io sono la prima di nove fratelli e sorelle. Trovare lavoro in Nigeria non è facile e anche quando si trova non è mai sufficiente per mantenere una famiglia numerosa come la mia. Avevamo visto che alcune vicine di casa erano andate in Italia e che poi la loro famiglia si era comprata l’auto e aveva aperto un negozietto. Sapevamo che probabilmente sarei finita sulla strada, ma in fondo sarebbe stato solo per qualche anno e così la situazione economica della mia famiglia si sarebbe sistemata. E così in casa abbiamo deciso che avrei potuto rischiare.

Abbiamo parlato con chi organizza queste cose, abbiamo firmato un contratto con cui mi impegnavo a pagare quarantamila euro in cambio di documenti, biglietto di viaggio e sistemazione in Italia e sono partita.

«Piango perché ho paura:
ho paura che qualche
maniaco mi uccida,
ho paura di prendermi l’Aids,
ho paura di rimanere incinta
senza neppure sapere di chi»

Piango perché sono diventata una schiava e posso solo fare ciò che altri decidono.

Piango perché il mio corpo non mi appartiene più: tutti ne fanno ciò che vogliono e io devo sempre dire di sì e umiliarmi davanti a tutte le bestialità che mi chiedono.

Piango perché mi picchiano: mi picchiano i clienti con le loro manie violente, mi picchiano i miei padroni quando non riesco a portare a casa la quantità di soldi che ogni giorno pretendono da me.

Piango perché sulla strada tutti mi trattano come un cane: le mogli che passano in auto e dal finestrino mi gridano “vattene puttana”, gli adolescenti che, passando in motorino, mi mettono le mani addosso, gli uomini che si fermano a guardarmi e mi denudano con gli occhi, i poliziotti che si divertono a spaventarmi a farmi correre come cani da caccia dietro una gazzella.

Piango perché ho paura: ho paura che qualche maniaco mi uccida, ho paura di prendermi l’Aids o qualche altra malattia che mi rovini per tutta la vita, ho paura di rimanere incinta senza neppure sapere di chi.

«Chissà Giovanni, se qualche volta hai pensato a queste cose
mentre mi usavi
o solo guardavi il mio corpo
giovane e bello come se fossi
un bel cane o un cavallo di razza?»

Prima di lasciare la mia patria, durante un rito religioso, mi sono impegnata a non tradire coloro che mi hanno portata in Italia: se lo facessi, gli spiriti maligni mi castigherebbero.

L’unico amico che mi è rimasto è Dio, su di Lui posso sempre contare e ogni giorno prego, gli racconto le mie pene e so che Lui mi capisce.

Non vado in chiesa perché forse non mi accetterebbero sapendo cosa faccio e anche perché non mi sento pulita, ma il mio Dio è sempre con me e mi dà la forza di continuare a vivere.

Chissà Giovanni, se qualche volta hai pensato a queste cose mentre mi usavi o solo guardavi il mio corpo giovane e bello come se fossi un bel cane o un cavallo di razza? Hai pensato qualche volta che anch’io sono un essere umano, che anch’io sono figlia di Dio, che anch’io ho una famiglia, che diritto anch’io ad essere trattata con dignità?