magia

N.28 Febbraio 2022

SPORT INCLUSIVO

A Soresina il basket è integrato. Si suda, si cresce, si vola alto

Una giornata di allenamento in palestra con tecnici e atleti del Magico Basket di Soresina, dove «gli obiettivi sono sempre nuovi e a misura di ciascuno»

Una palestra, gli ostacoli del quotidiano ed il coraggio di essere autentici: “la magia è fatta di sorrisi e occhi luminosi”
Il rumore della palla si avverte da lontano. L’allenamento è già cominciato. Quando la porta del Palasirino di Soresina si apre, si svela «una bolla piena di magia. Tutti i problemi e le difficoltà del quotidiano restano fuori. Teniamo stretto il desiderio di divertirci insieme, inseguiamo obiettivi sempre nuovi e a misura di ciascuno. E ogni volta esco con la consapevolezza di essere dipendente da questa squadra: mi offre uno sguardo rinnovato sulla vita».
Dipendenza: così la chiama l’allenatore Luca Cesare Ventura… O è forse magia? Quel che è certo è che l’incantesimo non svanisce. Al contrario, fa parte del nome e resiste da 23 anni. «La squadra del Magico basket di Soresina è nata il 4 febbraio 1999». La presidente dell’associazione sportiva dilettantistica Mariana Beretta ricorda i dettagli. «Per diversi anni ho insegnato matematica e scienze. Tra i banchi di scuola mi sono accorta di relazionarmi con alunni con disabilità che avevano molto potenziale, ma non erano nelle condizioni adeguate per coltivarlo. Appassionata di basket da sempre, ho messo insieme un gruppo di cinque ragazzi con disabilità ed ho iniziato i primi allenamenti».
Con lei c’era Daniele. Allora aveva qualche capello bianco in meno. Quando si sente chiamato in causa ci raggiunge a bordo campo: «Lui è l’anima della squadra» sussurra Mariana. «Ora non posso giocare per un problema di salute, ma mica posso stare a casa: sono il capitano. Vengo qui e motivo i miei compagni. Se serve li sgrido anche: questi giovani vanno spronati».
Percorre il campo in lungo e in largo, Daniele. Lo sguardo è attento, gli occhi sono luminosi. Fa lo slalom tra gli ostacoli. Il rumore della palla che batte prepotentemente sul pavimento è musica per le sue orecchie. I sorrisi dei compagni sono «felicità». «Con Gloria sto preparando un esercizio importante: la treccia». Silenzio.
«Devo anche dirti una cosa: Gloria la conosco da molto tempo, tra alti e bassi, siamo più che amici».
L’amore, nel senso più nobile e puro del termine, si racconta nei complimenti per un canestro riuscito, per un esercizio condiviso. In una pacca sulla spalla, dopo molto tempo. «Questa è la magia: qui è tutto magico» conferma Daniele, prima di volare alto con il pensiero.

«Ho imparato a divertirmi con semplicità,
a guardare la differenza
con occhi liberi dal pregiudizio»

«Il momento più magico di tutti è stata la vittoria del campionato Csi nel 2017: è stato un sogno. Speriamo si ripeta presto».
La storia di questa associazione si racconta in un piccolo libro, tra parole e fotografie, coppe alzate e ferite curate. «Da vero capitano – riprende Daniele – cerco di prendermi cura anche delle delusioni dei miei compagni. Dopo una brutta sconfitta dico loro che non è successo nulla. Che, in fondo, siamo ancora qui, insieme». Nei giudizi, tuttavia, resta obiettivo. Secondo l’ultima relazione «l’allenamento è stato bello, ma bisogna migliorare. Siamo qui per questo: per migliorarci».
I primati non possono restare sulla carta. «Dopo i primi allenamenti – interviene Mariana – ho scelto di creare la prima squadra di basket integrato in Italia: persone con e senza disabilità costruiscono l’azione e partecipano, ciascuno nel rispetto delle proprie peculiarità. Facciamo in modo che gli atleti disabili non siano assistiti, ma divengano autonomi nel rispetto dei loro limiti e dei loro tempi». Il rispetto delle regole è fondamentale, «non ci sono sconti: ognuno deve raggiungere i propri obiettivi. Con tempo, tenacia e pazienza, certo, ma non si deve mollare». Ogni atleta è protagonista: «le persone senza disabilità non devono sostituirsi alle altre a beneficio del risultato, devono collaborare. Tra i vari componenti si instaura un legame d’amicizia, non di semplice tutoraggio».
Pietro marca l’avversario sempre con il sorriso sulle labbra: «Quando mi sono avvicinato a questa realtà pensavo di dover insegnare loro i fondamentali. Poco dopo mi sono accorto che in realtà sono loro ad insegnare a me. Con questi atleti ho imparato ad apprezzare le piccole cose, a divertirmi con semplicità, a guardare la differenza con occhi liberi dal pregiudizio. Non ci sono disuguaglianze, siamo qui per divertirci e siamo un’unica famiglia».
Una di quelle attente, che non perde di vista la realtà. «I limiti esistono. Per tutti». Secondo Mariana «in campo ognuno compete con se stesso, prima che con gli altri. Lo deve fare nel rigoroso rispetto del proprio essere». Non viene chiesto a ciascuno di fare tutto, «ognuno coltiva le proprie abilità». Certo che per tutti lo sguardo deve essere rivolto al cielo. «Per puntare in alto», mirare il canestro e vivere la meraviglia. «Il basket obbliga a guardare in alto, a non abbassare la testa: è uno sport che richiede contatto fisico e che, in quanto tale, aiuta il gruppo».

«Richiede fatica
ma barare
non è mai la soluzione»


«Ormai qui siamo tra amici». Sonia si stacca un attimo dall’allenamento per bere e scambiare due parole. «Proprio due: mi sto allenando». «Sono stata una delle prime atlete, sono arrivata nel 1999 e da quel momento ho sudato molto insieme ai miei compagni».
I traguardi sono il frutto di uno sforzo quotidiano condiviso, denso di legami. Di fili che si intrecciano e non si lasciano più andare. «Durante il lockdown, quando le attività sono state sospese, abbiamo sperimentato l’esperienza del distacco. Tutti, in particolare i ragazzi con disabilità. Ci siamo mancati, a vicenda. Ma la fiducia costruita in questi anni ha avuto la meglio».
Per l’allenatore Marco Lapris «in campo si costruisce autonomia, a colpi di sorrisi. È un quotidiano lavoro di fiducia, che prende forma dalla volontà di valorizzare le persone per ciò che sono». Così c’è chi alza le braccia al cielo, chi segna a più non posso, chi corre… L’obiettivo è comune, il percorso è di ciascuno. Ciò che resta «è il sorriso».
Secondo coach Pietro Callini la loro felicità è «la soddisfazione più grande, mentre insieme scopriamo un mondo vario come quello del basket». Lì, mentre la palla batte sonoramente a terra dopo l’ennesimo canestro si racconta il coraggio di «essere autentici. Le persone con disabilità – conclude Mariana – ci insegnano che non bisogna avere paura, che mostrarsi per come si è, senza maschere, senza filtri è l’avventura più bella. Richiede fatica, certo, ma barare non è mai la soluzione».
Gli occhi luminosi e sorridenti di Gloria ci convincono: vivere pienamente è magia.