legami
N.56 gennaio 2025
“Chi sei?”, la domanda che aspettiamo
Ogni possibile legame di pacifica convivenza, di società democratica, trae origine dal riconoscimento dell'unicità, specificità, del valore di ciascun uomo.
Il clangore delle spade risuona nei campi intorno alle mura di Troia e si confonde col rumore delle ruote dei cocchi e degli zoccoli dei cavalli. Sangue acheo si mescola a sangue troiano. Il “selvaggio” Diomede, figlio del re di Argo, con abile maestria combatte dal suo carro e cerca la vittoria per i greci.
D’un tratto si arresta,interrompe la battaglia, incrocia lo sguardo dell’avversario e con voce possente chiede: “Chi sei?”.
L’altro è Glauco, il licio al fianco dei troiani, che indugia stupito, accoglie la domanda e narra la sua storia. Si presenta come il nipote di Bellerofonte, l’uccisore della Medusa, l’eroe protagonista di straordinarie imprese che l’avevano condotto sul trono di Licia. Diomede, ascoltata la narrazione del nemico, conficca la sua lancia nella terra e riconosce in lui un ospite antico. Bellerofonte era stato ospite per vent’anni nel palazzo familiare. Una coppa d’oro, dono grato e gradito, testimonia ancora oggi la sua presenza. Grazie al riconoscimento Glauco e Diomede si scoprono uniti da un legame antico che nell’oggi è, per ciascuno, impegno di vicendevole ospitalità. Scendono dal cocchio e si scambiano le rispettive armature. Poco importa se una è d’oro prezioso e l’altra di rozzo bronzo, rilevante è il legame che diventa fatto esistenziale e ontologico. Nel ricordo di una storia condivisa conoscono il sentimento della reciproca riconoscenza e,se pur continueranno a lottare in schieramenti avversi, acquisiscono la consapevolezza di essere ospiti l’uno dell’altro. È il riconoscimento di una comune eredità che consente ai due eroi di disarmarsi e di stringere un patto di reciproca accoglienza. Senza riconoscimento non sarebbe stato possibile non solo alcun legame ma anche la personale soggettivazione. L’identità è infatti un dono dell’altro e frutto del riconoscimento.
È il riconoscimento di una comune eredità che consente ai due eroi di disarmarsi e di stringere un patto di reciproca accoglienza
Là dove là vita si snoda in spazi affollati, caotici, colmi di rumore regna la solitudine tanto che tutti sono in cerca di uno sguardo e di una parola che renda evidente a se stessi la personale esistenza.
“Chi sei?” è la domanda che ciascuno attende.
Hegel, nelle pagine della Fenomenologia dello Spirito dedicate all’autocoscienza, sostiene che “ogni lotta è lotta per il riconoscimento” tanto che ogni processo di identificazione si realizza solo nella relazione con l’altro.
Ogni umano processo di individuazione prende avvio da uno sguardo e, primo fra tutti, quello della madre. Nei suoi occhi ciascuno vede per la prima volta la sua immagine come in uno specchio e comincia a identificarsi in essa. È complesso e delicato questo gioco di specchi a tal punto da favorire o talvolta ostacolare lo sviluppo della libertà sia del figlio che della madre. Se la madre guarderà il figlio come unica ragione della sua vita finirà per divorarlo e impedirà ogni possibile soggettivazione; se vivrà il figlio come un fardello che le impedisce di realizzarsi condannerà il figlio all’incapacità di stringere legami d’amore.
Tanti altri sguardi si rivolgeranno al cucciolo d’uomo durante la sua crescita: quello degli insegnanti, degli amici, degli educatori, degli allenatori sportivi… Tutti saranno responsabili non solo della sua personale identità, ma anche della sua stessa socialità.
La pluralità, l’essere insieme a tanti, potrebbe tradursi in dispersione e in smarrimento senza riconoscimento e generare sentimenti di timore, paura, sospetto nei confronti degli altri condannando alla solitudine. Scrive Laura Boella in Sentire l’altro: «Se nel gesto di uno straniero non riesco a cogliere la traccia di un’antica tradizione, se di fronte a un vecchio non riconosco il “suo sentirsi vecchio”, l’estraneità abiterà me stesso, la mia casa, la mia città».
«Se nel gesto di uno straniero non riesco a cogliere la traccia di un’antica tradizione, se di fronte a un vecchio non riconosco il “suo sentirsi vecchio”, l’estraneità abiterà me stesso, la mia casa, la mia città».
Laura Boella, Sentire l’altro
Il riconoscimento permette di nominare se stessi e l’altro. Se in ogni uomo è inscritta una storia di famiglia e di comunità, l’impossibilità di chiamare qualcuno per nome condanna all’emarginazione e al conflitto, alla sfiducia e alla indifferenza, al desiderio di morte.
La storia attesta l’orrore a cui l’umanità può arrivare quando questo riconoscimento non avviene. Quando gli ebrei non sono più stati riconosciuti come cittadini, come soggetti di diritti, è iniziato un processo di esclusione culminato nella loro eliminazione, nella Soluzione Finale.
Ogni possibile legame di pacifica convivenza, di società democratica, trae origine dal riconoscimento dell’unicità, specificità, del valore di ciascun uomo.
Come Diomede ciascuno dovrebbe fermarsi, sospendere ogni lotta e lasciarsi interpellare dallo sguardo dell’altro. Scoprirebbe di essere a lui accumunato da un legame, quello di essere ospite e ospitato nello stesso tempo. Fiorirà allora la riconoscenza insieme alla gratitudine, madre di ogni altro possibile legame aperto alla corresponsabilità.