stelle

N.04 Ottobre 2019

RUBRICA

La domanda sospesa sulle “Stelle vaghe”

vimeo.com/maurosantini

«Gli antichi tenevano a mente le volte celesti quanto i paesaggi diurni, e sentivano di ogni astro il ritmo come fosse il battito d’una creatura viva. Amavano il cielo, se ne sentivano risucchiare».

È un passo di Elémire Zolla che introduce il viaggio di Mauro Santini nel cinema del cosmo: un ciclo di cortometraggi, dal titolo Vaghe Stelle, ispirato alla costellazione dell’Orsa Maggiore. Le stelle del manico della costellazione (Alkaid, Mizar, Alioth), in arabo le “figlie della bara”, a cui il regista intitola un corto ciascuna, fanno da prolungamento alle altre quattro (Megrez, Phecda, Merak e Dubhe), che formano il cuore della bara stessa.

«Vaghe stelle», scrive l’autore, «è un film in sette capitoli, concepito come un album musicale composto di sette movimenti visibili singolarmente (come canzoni) o nell’ordine stabilito (come un disco); oppure ancora mescolando i film a piacimento o a caso, creando ad ogni proiezione nuove combinazioni o possibili narrazioni. Le “canzoni” saranno sette, come le stelle principali dell’Orsa Maggiore. Sarà un vagare notturno che avrà come riferimento il cielo stellato: un pellegrinaggio terrestre in cerca di epifanie o la deriva di un ipotetico viaggio interstellare».

Iniziato nel 2017, il percorso ha raggiunto oggi quattro tappe. Si tratta di «piccole opere», come ama dire Mauro Santini, appartenenti a quel cinema di ricerca, “fuori norma” (una definizione cara ad Adriano Aprà) che impone una diversa traiettoria dello sguardo.

Alla gratificazione del racconto,
Mario Santini sostituisce
la domanda su ciò che esiste,
sulla sua verità

L’occhio è infatti il motore primo della sua ricerca, testimone del divenire, dello scorrere della vita, garante dei frammenti di esistenza che sono restituiti sempre in prima persona senza la mediazione della pagina scritta. Sia che lo sguardo sia rivolto all’interno, alla memoria in forma diaristica – come in Attesa di un’estate (frammenti di vita trascorsa), oppure Dove sono stato, una serie di diari di viaggio -, sia che si apra verso confini dilatati come quelli siderali, le immagini che cattura sono “piccole epifanie” le quali sorprendono prima di tutto l’autore. O quanto meno rinviano a un’apertura che lambisce il limite stesso dell’immagine.

Alla gratificazione del racconto, lo sguardo di Mario Santini sostituisce la domanda su ciò che esiste, sulla sua verità, evidenziando la propria partecipazione all’accadere delle cose.

Il tempo è l’altra trama sottile dell’artista di Fano. La durata, la resistenza dell’immagine che documenta con minime variazioni lo scorrere di un periodo fatto di istanti, sembra voler trattenere, come un’impronta – quella che presiede alla legge della persistenza retinica stessa – il succedersi di attimi discreti come sguardi. Così Diario di un anno, oppure Da qui, sopra al mare, in cui lo spettatore vede passare la vita, e insieme si accorge di passare con essa.

Mauro Santini testimonia le infinite aporie di istanti di tempo che, da lontano, chiedono di farsi più chiari, mentre quando tornano presenti alla mente, si annodano ad immagini di un tempo altro, che richiamano nuove esigenze in figure spesso sovraesposte o buie, “lavorate” come fa il tempo su ciascuna cosa. E, inevitabilmente, il tempo riconduce l’autore alla distanza e alla prossimità, già espressa in Da lontano.

Nel ciclo de Vaghe stelle, l’immota lontananza di Alkaid si specchia nell’erratico vagabondare di Alioth e nella danza di Mizar, accompagnata da un incessante frinire di cicale. Cielo e terra, stasi e movimento, che chiedono allo spettatore – come afferma lo stesso Santini in un’intervista – di «specchiarsi nelle immagini e nei suoni, di interiorizzare sensazioni e memorie per arrivare a superare il mio biografico, facendo divenire “la mia famiglia, i miei ricordi” qualcosa di collettivo».

Per questo in rete non si trovano se non trailer di questi piccoli, densi, diari: è nella sala cinematografica che il pubblico, come soggetto collettivo, si apre a una visione nella quale l’empatia determina una più vera condivisione, “compartecipazione” al vissuto dell’autore.

«I Latini dissero, per denotare il pensare, con-siderare, stare alle stelle, accanto ad esse, e de-siderare fu il venir meno alle stelle, provare una mancanza», chiosa Zolla, suggerendo la chiave dei film.

Le considerazioni per immagini di Mauro Santini aprono lo sguardo all’infinito, associando la domanda di senso all’esperienza di visione. Ma è al termine del viaggio che il venire meno delle immagini squaderna improvvisamente il vuoto del reale. E apre al desiderio di tornare a vedere, in pienezza, come il poeta nelle Ricordanze, le Vaghe stelle (dell’Orsa).