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N.26 Dicembre 2021

PROGETTI

«Qui, quasi un inizio». Con l’arte a scuola di bellezza

Compagnia dei Piccoli e Il Laboratorio APS hanno portato in scena lo spettacolo inserito nel progetto "Non uno di meno. La scuola senza cattedra" Con danza e teatro cinquanta adolsecenti affrontano e raccontano sul palco paure e sogni di una generazione che non vuole lasciarsi scappare il presente

foto di Paolo Cis

Quando il sipario si apre, una cinquantina di ragazze e ragazzi sopiti copre il palcoscenico scuro. Indossano tute da ginnastica grigie, retaggio di un anno in lockdown emotivo vissuto a distanza di sicurezza dal mondo esterno.
La musica classica guida i loro movimenti in un lento risveglio: uno ad uno si alzano, si osservano, ritrovano il contatto tra loro e con ciò che li circonda. Nel buio della platea oltre cinquecento persone osservano la scena, spettatori silenziosi di una rinascita che ricorda la metamorfosi delle farfalle. I gesti impacciati, a volte imprecisi, ricalcano la partitura della loro vita di adolescenti. Assenti, indolenti, schiavi dello smartphone e dell’apparenza, sono tante le definizioni che una ad una crollano sotto i passi di danza, lasciando spazio alla voglia di essere presenti, padroni della scena e del proprio presente.

Sono i protagonisti di “Qui – Quasi un inizio”, spettacolo diretto da Mattia Cabrini con le coreografie di Marianna Bufano e Chiara Servalli. Il 7 dicembre ha debuttato al teatro Ponchielli di Cremona, chiudendo un percorso formativo lungo cinque settimane.
L’idea nasce dalla collaborazione tra il laboratorio APS e la Compagnia dei Piccoli nell’ambito del progetto “Non uno di meno – La scuola senza cattedra”, cui ha aderito una fitta rete di realtà che si occupano di educazione e integrazione. Ai trenta ragazzi e ragazze segnalati dai servizi sociali, per molti dei quali la scuola si è interrotta e non è più ripresa, si è unita una classe del liceo “Anguissola” di Cremona.

Flavia, studentessa al terzo anno, «ha imparato a fidarsi degli altri»: una cosa non semplice per lei, che nei panni della “principessa dei pigri” viene sollevata da terra per ben tre volte dai compagni di corso.

Luca e Nazario hanno apprezzato l’opportunità di «stare dall’altra parte del sipario e confrontarsi con coetanei su strade diverse, che probabilmente non si sarebbero mai incontrate». Come Melissa e Simona, iscritte all’Istituto di moda “Stradivari” e approdate al progetto su suggerimento di una professoressa. «La cosa più difficile è stata espormi di fronte a sconosciuti che possono giudicarmi – racconta Melissa – Ma qui ho conosciuto persone simili a me». Lo stesso vale per Simona: «Integrarsi è la cosa più difficile: non mi fido di me stessa, figuriamoci degli altri! Ma piano piano, il gruppo è diventato una classe!». Un modo per tornare a scuola, senza banchi né libri di testo.

«Tutte le volte che diciamo no,
non esistiamo.
Dire sì è esserci, essere qui»

Come sottolinea il regista, «la bellezza in cui sei immerso ti trasforma: ecco perché abbiamo scelto di lavorare in un teatro “vero”, con la musica dal vivo dell’Orchestra Filarmonica Italiana». Poco a poco Rossini, Dvořák e Strauss sono diventati compagni di classe. Poi, come in un’orchestra, ogni persona ha trovato il proprio modo di funzionare con gli altri. «I ragazzi hanno iniziato a capire che gli strumenti era-no loro stessi – aggiunge il regista – i violini erano i loro piedi, i tamburi le loro mani. I fiati il loro respiro. La presenza di tutti è fondamentale: se manca uno strumento, il gruppo non può suonare».
Tra i partecipanti, nessuno è un ballerino professionista: «Hanno il privilegio di non recitare, di non avere maschere».

Per costruire le coreografie sono partiti da ciò che – loro malgrado – li identifica. La prima scena è un elogio agli “sdraiati”: abbracciati ad un cuscino, si cercano con gli occhi fino ad unirsi in una “danza delle ore” in cui il tempo è il costante rimando a domani.
Il secondo tempo ruota attorno all’apparenza: da modelli per selfie a “barbieri di Siviglia” improvvisati, usano uno sgabello come scudo per difendersi dagli sguardi. I corpi prendono le distanze, si scontrano, si raggrumano stringendosi gli uni agli altri per non farsi strappare via, per mantenere un’identità.
La virtualità occupa il terzo tempo sulle note della “Sinfonia del nuovo mondo”: luci verdi e corde evocano il web, come un a rete tesa da una mano all’altra che al contempo può diventare una trappola o un appiglio.
Il quarto movimento evoca il viaggio e il destino dei minori stranieri non accompagnati; per alcuni di loro è stata un’esperienza reale, rimasta impigliata nella lingua d’origine che ancora portano con sé, la stessa che rende incomunicabili le emozioni. Per questo ci si affida al linguaggio del corpo, che supera culture e differenze per imporre un nuovo dialogo e trovare un punto comune.
Lo spettacolo si chiude con Strauss, che vede il gruppo ricostruirsi in un cerchio che ricorda un abbrac-io.
Infine tutti in piedi, a viso aperto di fronte al pubblico. Insieme.
Per alcuni di loro il lavoro proseguirà nel 2022, con stage ed esperienze teatrali che porteranno alcuni di loro ancora al Ponchielli. «Poi si vedrà – conclude Simona – ora voglio occuparmi della scuola» . Lo dice con un mezzo sorriso, consapevole che questo passo è solo l’inizio. Come ricorda il regista, «Tutte le volte che diciamo no, non esistiamo. Non ci siamo, ci sottraiamo al mondo. Dire sì è esserci, essere qui».