musei

N.25 Novembre 2021

STRADE

Robolotti Family, il museo è in vetrina

Liutai, negozianti e artigiani hanno iniziato a fare comunità: e le vetrine sono spazi espositivi per le opere di artisti locali E la via torna ad essere luogo di incontro, idee, relazioni buone

Via Robolotti si sveglia sotto i rintocchi del Torrazzo. Sono le otto e mezza di un lunedì come tanti, segnato dalla routine di chi ogni mattina attraversa il centro storico per le faccende quotidiane. Il rumore di passi e saracinesche risuona sull’asfalto bagnato di pioggia. Un tintinnìo di tazzine sfugge alla porta socchiusa del bar, dove la macchina del caffè funziona già a pieno regime. I negozianti si salutano con un cenno, si chiamano per nome, talvolta fanno capolino sulla soglia dei vicini per scambiare due parole. Qualcuno lucida con cura la propria vetrina per prepararla agli sguardi dei passanti. Ognuna racchiude un mondo, una storia affacciata su quel breve tratto di strada, che da qualche tempo a questa parte è diventato un luogo d’incontro e condivisione.
«Più che una “via”, siamo una famiglia». Elena Dagani ci aspetta in piedi sotto un portone, al riparo dal cielo invernale. È tra i promotori del progetto “Robolotti Big Family”, nato nella primavera 2020 per iniziativa spontanea. «La pandemia ha cambiato le cose – racconta – Se fino a poco tempo fa il contatto tra le persone che frequentano la via si limitava ad un saluto lanciato di sfuggita sulla porta del negozio, ora c’è un forte senso di comunità. La voglia di ricominciare ha posto le basi per unire le forze e aiutarsi a vicenda».
Dal negozio di antiquariato RobolottiSei è partita l’idea di contaminare d’arte l’intera via, partendo proprio dalle vetrine, volto delle tante anime che la compongono. «Abbiamo pensato di proporre a commercianti e artigiani di “ospitare” opere di artisti contemporanei, da esporre tra la propria merce». Un accostamento non scontato, che cattura lo sguardo dei passanti e traccia un filo rosso tra tutte le attività: il risultato è una mostra diffusa, da ammirare passeggiando lungo la strada. «Essendo in vetrina, può essere visitata ventiquattr’ore al giorno, un po’ come le grandi gallerie; ci piace l’idea che chi passa con la testa nel cellulare possa sollevarla e notare questo filo rosso che ci unisce, scoprire qualcosa di nuovo, lasciarsi emozionare».

«Ci piace l’idea che chi passa
con la testa nel cellulare possa sollevarla
e notare questo filo rosso
che ci unisce»

Forte dell’esperienza maturata in precedenza come curatrice di mostre ed esperta di marketing dell’arte, Elena evidenzia il sottile confine tra i due mondi: «L’arte consente al marketing di uscire dalla banalità. È importante collocare le opere nel giusto contesto e cercare connessioni: oltre alle buone idee servono proposte interessanti, a partire proprio dai giovani artisti del territorio». Tra quelli già esposti, figurano i cremonesi Emiliana Triglia, Vittorio Venturini e Patrizio Marigliano, cui presto si aggiungeranno la pittrice riminese Antonella Spada e Blub, street artist fiorentino noto per aver riprodotto personaggi e dipinti celebri “immersi” sott’acqua, con tanto di maschera e boccaglio.
Ogni proposta è ben accetta, eventi compresi: oltre a sostenere le principali iniziative che animano la città, come le Invasioni botaniche, i Giovedì d’estate o Mondomusica, nel settembre 2020 la “famiglia” Robolotti ha promosso il primo evento spontaneo, organizzato all’interno di un cortile privato: una conferenza a cielo aperto dedicata a Claudio Monteverdi, compositore cremonese la cui famiglia d’origine risiedeva proprio in via Robolotti. Oltre ad essere “la via dei liutai” – attualmente sono circa una dozzina – anticamente era la via dei conciatori di pelle, popolata di botteghe e personaggi illustri, tra cui lo stesso Robolotti, generale e partigiano italiano. L’artigianato, la voglia di darsi da fare e riconoscersi in un’identità condivisa ha unito nella tradizione chi a distanza di secoli vive e fa vivere la via. Centoventi metri in tutto, disseminati di negozi, uffici, laboratori artigianali, in linea con lo spirito che nel tempo ha connotato quel piccolo nervo di città.
«Quanti siamo? – prosegue Elena – Non saprei, non abbiamo mai voluto contarci proprio per non mettere confini al progetto, che rimane aperto a chiunque voglia aderire. Siamo una famiglia molto aperta!».
L’arte è il pretesto e l’occasione per coltivare uno spirito di comunità forte, sostenersi a vicenda, tessere una rete di mutua solidarietà con chi condivide spazi e giornate. «Qui tutto è uno scambio: qualcuno propone idee, qualcuno offre aiuto o materiali, o semplicemente il proprio tempo. Tutto ritorna, in un modo o nell’altro».
Basta aguzzare la vista per notare alcune insegne in legno personalizzate, realizzate a titolo volontario da una collaboratrice della “big family” e ispirate alle varie attività presenti: un tagliere per il bar, un violino per i liutai, un manichino per il negozio di abbigliamento, e così via. L’inverno metterà in pausa le iniziative, almeno finché l’ombra della pandemia non si sarà definitivamente ritirata, ma non mancherà un allestimento speciale per il Natale ormai alle porte. «Procediamo con cautela, ma non ci fermiamo», conclude Elena. «Se c’è una cosa che il brutto periodo dell’anno scorso ci ha insegnato è che se non ci si aiuta e non si resta uniti, non si va da nessuna parte».