eroi
N.18 Febbraio 2021
«T’amerò sempre»
L'Alzheimer ha congelato i ricordi di Maria e ora la costringerà a separarsi da Luigi Ma non ha cancellato i sessant'anni di vita insieme e quel messaggio scritto dietro una vecchia foto tenero come un bacio, tenace come l'amore
«Ci siamo conosciuti nel 1952 nella balera del paese e ci siamo sposati il 29 dicembre 1956».
Luigi mescola lentamente la minestra mentre ricorda i sessantacinque anni di matrimonio con la moglie Maria. Lei è seduta sul divano accanto al termosifone che sbuffa aria calda come una vecchia locomotiva a vapore.
Novantun anni lui, ottantanove lei.
La piccola cucina affaccia sull’orto ormai incolto, resto di un passato in cui trascorrevano insieme intere mattinate a lavare insalata, pulire peperoni, mentre Milk, il cane del vicino, dall’altra parte della rete aspettava con pazienza che qualcuno gli allungasse qualche avanzo. «C’era tanta neve il giorno del matrimonio, quasi sessanta centimetri, e noi eravamo vestiti di abiti eleganti comprati coi risparmi messi da parte vendendo granoturco e frumento. Avevo ventisei anni, lei ventiquattro. Quando ci siamo conosciuti io e Maria, pur di vederla partivo ogni giorno in bicicletta da Solarolo per raggiungerla in cascina dove abitava. Sedici chilometri. La portavo a ballare i venerdì sera, sapessi com’era bella… Mi accorgevo anche di come la guardavano gli altri uomini ma non sono mai stato geloso. Mi fidavo si lei, lei di me».
Parla sottovoce, Luigi, non ha particolare dimestichezza con i sentimenti, lui che per una vita intera ha lavorato la terra e sellato cavalli. Niente romanticismi, anche se poi, dai telefoni dei nipoti, compaiono video in cui, solo qualche mese fa, intonavano insieme il ritornello de “La prima cosa bella”.
Oggi è tutto diverso. Abitudini, pensieri, stati d’animo.
Nessuno canta più, in questa casa. I movimenti si sono fatti più lenti e pesanti. La memoria di Maria si è fermata a molto tempo fa, agli anni in cui giovane, in sella alla bicicletta partiva dal paese per raggiungere in città i palazzi dei signori per cui lavorava come cameriera. Si guarda intorno, Maria, quasi rivedesse quelle sale immense, i soffitti affrescati, la mobilia di lusso che pazientemente lucidava.
L’Alzehimer è una malattia crudele, spazza via gran parte dei ricordi, alcuni per fortuna rimangono imprigionati nella tela della memoria. E sono sprazzi di luce, aria buona per i polmoni. «È iniziato tutto quattro anni fa, mia moglie ripeteva sempre più spesso le cose ma all’inizio non ci facevo caso. O non volevo farci caso, non so».
Luigi si volta verso Maria, la fissa come un marinaio che cerca la luce del faro. «Sessantacinque anni insieme non sono una manciata di giorni, sono una vita intera e io non la so proprio immaginare la mia senza di lei. Forse qualcuno direbbe che Maria l’ho già persa da quando si è ammalata. Ma non è vero, è solo la sua mente ad essersi persa. Lei è ancora qui e io faccio per due. Dove non arriva la sua memoria, arriva la mia».
La mano a sfiorarsi la fronte come a cacciare via un pensiero molesto, un pensiero troppo difficile da sopportare. Da quando la situazione di Maria si è fatta grave, è Luigi ad occuparsi di ogni cosa. Si alza presto al mattino, mette in tavola la colazione per due, fette biscottate e caffè latte, poi l’aiuta a lavarsi, divide con cura le medicine da somministrarle, controlla i dosaggi appuntati su un foglio di carta. Poi la prende sotto braccio, solo qualche passo prima che lei, esausta, gli chieda di farla sedere. È stanca, Maria. Eppure ci sono momenti in cui le loro mani si sfiorano e si stringono come una volta, come se l’Alzehimer non avesse rubato proprio niente. Perché non importa della malattia, non importa che Maria non distingua più il giorno dalla notte, l’inverno dalla primavera. E nemmeno che le sue mani non abbiano più la forza di reggere un cucchiaio, e le gambe il peso del corpo, che i capelli siano in disordine e i ricordi spaiati come vecchi calzini scovati per caso sotto al letto.
«Dalla prossima settimana mia moglie verrà trasferita in una casa di riposo, dopo l’ultimo scompenso cardiaco ho capito che era arrivato il momento, non si può fare altrimenti, ma puoi immaginare cosa voglia dire separarsi dopo sessantacinque anni insieme?» la voce s’incrina, gli occhi si fanno lucidi.
«Dovrò trovare un modo per sopravvivere, non so proprio come. Magari penserò che lei è ancora in questa casa solo che si è spostata in un’altra stanza. E farò in modo di lasciare tutto com’è, quella sedia accanto al calorifero sarà sempre in quel posto. Il suo posto. Non dormirò dalla sua parte del letto, nemmeno sul divano. Io resterò dove sono sempre stato».
Non serve spiegare, certe volte le parole sono inutili orpelli. Ma se è vero che niente è perduto fino a che continua a viverci dentro, allora i ricordi di Luigi saranno la cassaforte più preziosa. E almeno lì, rimarranno per sempre lui e Maria nelle loro abitudini, nelle colazioni con latte e caffè e tanti biscotti, nei bisticci quotidiani.
Rimarranno in quel ballo scatenato a fine serata in balera, seduti su quelle due sedie sotto al porticato del giardino a guardare i bambini tornare a casa dopo la scuola. In quel «t’amerò sempre» scritto in corsivo sul retro di una fotografia datata 1954.