casa

N.17 Gennaio 2021

RACCONTO FOTOGRAFICO

04.33 – Missione frigo. Di buio, mignoli e comò…

Sommersa dal silenzio, la casa sembra un gigantesco acquario. La luce della strada filtra pigra attraverso le tende della camera da letto. Blu di penombra, gli oggetti sembrano fluttuare in un tempo sospeso. In lontananza pare di cogliere il mormorio del mare (o un vicino che russa?), il ritmo magico si mescola al ticchettio dell’orologio a muro, amplificato dalla quiete notturna.

04.33. È presto per alzarsi, ma troppo tardi per ricordare di mettere una bottiglia d’acqua sul comodino. La gola pulsa e chiede ristoro, minacciando di allontanare ogni ombra di sonno.

Dopo qualche indugio tra i flutti del piumone la coperta si alza come una vela, pronta a salpare in una traversata silenziosa.

Destinazione: l’isolotto della cucina.

Come occhi selvatici, le spie dei dispositivi elettronici ammiccano da ogni lato tracciando la via, sotto lo sguardo vigile di un Topolino di pezza, testimone silenzioso di un mondo che prende vita appena le giornate si spengono.

Nell’oscurità il corridoio sembra più lungo. La porta socchiusa del bagno lascia intravedere una foresta incantata: la tenda della doccia è un cascata bianca e silenziosa, graffiata solo dalla sagoma delle spazzole, simili a buffi cactus colorati.

Il breve tragitto viene coperto con passi goffi e felpati, fino alla zona giorno. Poco più in là, un mini motociclista fa capolino tra le frange del tappeto, mentre una automobilina sospetta sosta di fianco al tavolo da pranzo. Come Gulliver, non resta che aguzzare la vista e scampare una rivolta lillipuziana in pieno salotto, senza mietere vittime.

Monolite bianco, il frigo troneggia sulla cucina con la solida autorità di un capo Sioux. Lo sportello si schiude con un cigolio leggero e lascia sfuggire una lama di luce, che fende il pavimento e lambisce i piedi nudi. L’acqua gorgoglia fresca nel bicchiere di vetro, poi dritta nelle rapide della gola per placare l’arsura. Tra i sorsi, lo sguardo indugia sul budino al cioccolato rimasto in frigo. Lo stomaco lancia un brontolio di assenso, ma un rumore improvviso lo zittisce.

La coda dell’occhio scorge il gatto appollaiato sulla spalliera del divano. Serve qualche secondo per ricordare che no, in casa non ci sono gatti. La consapevolezza paralizza la nuca e il coraggio di voltarsi per accertare la natura della sagoma nera che – sicuro!- osserva arcigna dal fondo del salotto.

Stallo alla messicana: come una piovra gigante, la macchia famelica è pronta ad inghiottire ogni colore e forma di vita.

I fari di un’auto lontana dissolvono il mistero, restituendo innocenza al maglione di lana abbandonato sul sofà la sera prima. Un sospiro di sollievo scioglie i muscoli e libera un sorriso che non vede nessuno; i passi riprendono la direzione originaria, schivando per un pelo una manciata di mattoncini Lego. L’ultima sfida a campo minato si conclude con discreto successo sulla soglia della camera da letto, con il solo desiderio di riguadagnare il giaciglio, dolce Itaca di un’Odissea domestica.

Tra il dire e il fare c’è lo spigolo del comodino, che con precisione chirurgica intercetta il mignolo del piede destro, regalando fuochi d’artificio coloriti come le esclamazioni strette tra i denti. Mentre il sonno riprende possesso del corpo, affiora alla mente l’ultimo verso delle cantiche dantesche: chissà se anche il sommo poeta vide le stelle grazie a un comò.