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N.17 Gennaio 2021

FRAGILITÀ

C’è una Casa dove l’oro si impara

Viaggio nella struttura di Cremona che ospita il centro per bambini con gravi e gravissime disabilità: un luogo dove brilla l'essenziale e tira fuori il meglio delle persone

Chi ha visto Casa d’oro ha in mente un posto dove tutto si rimescola. C’è un ordine. C’è una bellezza. C’è una programmazione. Prima o dopo, però, il cuore va in subbuglio. Non c’è schema o previsione o conoscenza che cancelli un pungolo insistente. Che senso ha il dolore? Dove porta la vita? Chi siamo noi?
Il centro di via Litta 1/E, a Cremona, nasce nel 2012. Ci sono volute la tenacia di un gruppo di famiglie e l’ascolto di un lungo elenco di istituzioni per aprirlo. Poi, il rischio d’impresa di una cooperativa (“Il Cortile”) ha dato gambe al progetto. A Casa d’oro entrano e escono bambini dai 6 ai 17 anni nati con gravi e gravissime disabilità. Per loro sono studiati percorsi di riabilitazione ad hoc, dal lunedì al venerdì, che non sostituiscono la scuola. La integrano. Parliamo di minori con danni al sistema neurologico centrale. Irreparabili.

Vuol dire capacità compromesse di comunicare e alimentarsi. Assenza di autonomia motoria e crisi epilettiche farmaco-resistenti. È vita, una vita così?
Marco, educatore del centro, dice che «il sorriso dei bambini ogni volta che arrivano è un regalo immenso». Dice di aver rivalutato, da quando ci lavora, «ciò che reputa importante». Dice ancora che la Casa di via Litta è «una casa per tutti, noi operatori compresi».
Marta, infermiera, è messa davanti ogni giorno alla fragilità totale: «Nostra e dei bambini che accogli». È toccata da una scoperta sempre nuova: «Loro vivono l’essenziale». Chi? «Questi bambini». Cioè? «Cioè essere voluti bene».
Alessandro, musicoterapista, ammira praticamente tutto di Casa d’oro, soprattutto il fatto «che faccia uscire il meglio delle persone». Dopo anni di lavoro lì, sono decine i fatti che ricorda con stupore. Ne racconta uno: «Le lacrime di gioia di un bambino dopo aver riso e vocalizzato durante una stimolazione sonora».
Il futuro di Casa d’oro, per Alessandro, è la prosecuzione del suo presente: «Essere una fucina di umanità».
Manuela, ausiliaria, racconta che il bene fatto «a questi bambini si allarga alle loro famiglie, come una grande rete parentale, come in una casa, appunto». La cosa che più la sorprende è che «ci sia un posto, al mondo, pensato proprio per loro».

Laura, presidente della cooperativa, è forte di un’esperienza ricca e lunga nell’ambito della disabilità. Può bastare? «Quando ho iniziato qui ho pensato: ci so fare, con questi ragazzi. E invece è sempre stato un ripartire dall’inizio. O meglio: da quello che accade». Tipo? «Beh, basta una crisi epilettica e l’attività col bambino salta. Lì si gioca tutto». Tutto cosa? «Tutta la sfida di ogni istante. Amare e servire la realtà».

«Si arriva quasi subito alle domande.
Sul senso della vita
di questi bambini e della nostra,
sul segno che lasciano in noi»

Ma cosa vede davvero chi entra in questa Casa? «Mi colpiscono le facce di tanti che sono stati qui – dice Laura –. A volte c’è la paura, a volte la sorpresa. Ma si arriva quasi subito alle domande. Sul senso della vita di questi bambini e della nostra, sul segno che lasciano in noi». Non fuggire da certi scossoni fa nascere un affetto. «E l’affetto – dice Laura – si traduce molte volte in disponibilità e gratitudine. Uno dei nostri volontari mi ha scritto questo messaggio: “Grazie a te cara Laura, e grazie ai bambini di Casa d’oro, che sono per me fonte purissima di umanità”».
In un video che la riprende, Laura scherza con uno dei ragazzi di Casa d’oro. Prova a sollevarlo dalla carrozzina ma desiste, è troppo pesante. Ad ogni tentativo fallito, lui se la ride a crepapelle. «Quando succedono queste cose – dice lei commentando le immagini – mi commuovo fino alle lacrime».
C’è una frase scritta sulla lavagna appesa a una parete del Centro. Da quando è lì, nessuno l’ha più cancellata. La frase dice: “L’unico modo di insegnare a voler bene, è voler bene. A tutti”.