soldi

N.06 Dicembre 2019

INCONTRI

Un portafogli (restituito) può cambiare la vita

Dejan ha sedici anni e non ha nemmeno aperto il portafogli trovato per strada «Normale per uno scout... I soldi? Sono importanti ma se sono tanti mi spaventano»

Quando Dejan guarda mamma Mascia, si commuove. In quell’incrocio di sguardi, in quel fissarsi negli occhi, traspaiono tutto l’orgoglio di una madre e le emozioni di un sedicenne con la faccia pulita e tanti sogni nel cassetto. Dejan Frittoli frequenta la terza superiore nelle aule dell’Isituto Anguissola. Da poche settimane è anche rappresentante di classe. Lo scorso 21 settembre, in quei metri di marciapiede che dividono stazione dei treni e piazzale dei pullman, nel cuore di Cremona, scorge, adagiato a terra, un portafogli contenente una ingente somma di denaro. A smarrirlo uno dei responsabili organizzativi della Fondazione Maria Carta, in trasferta a Cremona da Siligo, piccolo borgo della provincia sassarese, per un premio in memoria della cantautrice ed attrice sarda.

All’interno oltre ai documenti, il denaro raccolto per le spese logistiche del weekend di una ventina di persone: «Ci siamo fatti prendere dallo sconcerto – spiega Leonardo Marras, presidente della Fondazione – Abbiamo controllato ovunque per provare a ritrovarlo: in albergo, nel ristorante dove avevamo pranzato. Quando ci siamo recati negli uffici della Polfer per sporgere denuncia di smarrimento, gli agenti ci hanno riconosciuto da un documento. Aperto il portafogli, con stupore, abbiamo ritrovato tutto come lo avevamo lasciato, compreso il denaro».

Dejan stesso qualche minuto prima lo aveva consegnato alla Polfer: «Il documento era fuoriuscito, onestamente non ho nemmeno guardato quanti soldi contenesse – afferma lo studente – Volevo solamente restituirlo al legittimo proprietario. Sono corso a prendere il pullman lasciando il mio numero di cellulare. Ho ricostruito la storia attraverso un articolo che mi hanno inviato successivamente. Lì ho capito che qualcuno parlava di quello che avevo fatto».

Esiste una generazione
di giovani
su cui bisogna puntare

La delegazione, ripartita per la Sardegna, rintraccia Antonio Milia, presidente dell’associazione cremonese Sa Domu Sarda, che si mette in contatto con Dejan per incontrarlo e portare in omaggio un cesto di prodotti tipici sardi: «Il primo pensiero è stato quello di coinvolgere la comunità sarda di Cremona. Questo ragazzo ha rifiutato anche una ricompensa, dicendo non fosse necessaria – continua Marras – Non mi è mai capitato un episodio del genere. Fa ben sperare, significa esiste una generazione di giovani su cui bisogna puntare. Il valore dei soldi in questo episodio non è venale, ma sociale. È una storia di valori sani, di educazione familiare. La madre non era stupita del gesto del figlio: se lo aspettava».

Dejan, che vive a Castelverde, dopo la pallacanestro ha scelto l’atletica leggera: è mezzofondista, corre i 10 mila metri. Ed è uno scout: «Lo sono da dieci anni. Ho iniziato all’oratorio di Cristo Re, sono stato lupetto e capo squadriglia. Ora sono in una nuova fase di noviziato: voglio rendere l’esperienza dei più giovani bella come lo è stata la mia. Lo sport mi ha insegnato il senso del sacrificio: per correre occorrono testa, gambe, pazienza e voglia. L’esperienza di scout mi ha fatto comprendere l’importanza di alcuni valori. Su tutti il perdono, l’onestà, la gentilezza».

Mamma Mascia annuisce, carica di emozione: «Siamo una famiglia normale. Con tanti sacrifici abbiamo permesso a sua sorella di studiare all’università. Pensi che lo scorso anno abbiamo regalato a nostro figlio una bicicletta che poi gli è stata rubata». «Occhio per occhio – continua Dejan – non mi appartiene. Sono uno scout, ho certi valori. I soldi possono essere essenziali in alcuni momenti, se sono tanti però mi spaventano. Mi hanno fatto piacere i messaggi dei professori, il fatto che il mio gesto sia stato riconosciuto. Da grande vorrei lavorare nel campo della cinematrografia. Cosa penso di questo mondo?Non è facile, se tutti ci impegnano però possiamo renderlo più bello. E lo dobbiamo fare insieme, perché due teste pensano meglio di una. Figuriamoci tre, quattro o cinque…».