stelle
N.04 Ottobre 2019
«Quando la luna ero io». 4 donne e l’Apollo 11
Il romanzo di Luigi Garlando racconta lo sbarco della luna attraverso gli occhi delle donne della famiglia Bruciata E ci lascia con una domanda profonda come il cielo
Per il mio compleanno, due amiche del cuore mi hanno regalato un buono della libreria, mi sono precipitata per “barattarlo” con due libri nuovi. Il primo me lo ha consigliato la libraia (mi sono fidata, vedremo se avrò fatto bene), sul secondo non ho avuto dubbi: l’ultimo titolo di Luigi Garlando, Quando la luna ero io.
Conosco da un po’ questo autore grazie alla sua fortunatissima serie Gol! (divorata da mio figlio Giacomo) e a Io e il Papu, così ho imparato ad amare le sue storie di cui spesso sono protagonisti i bambini.
In quest’ultimo romanzo, Garlando racconta di un fatto storico preciso, lo sbarco dell’uomo sulla luna nel 1969 e ciò che esso ha rappresentato per milioni di persone: il superamento dei limiti conosciuti fino ad allora, ripercorrendolo attraverso la vicenda di quattro donne, quattro generazioni di donne che formano una famiglia, quella della Bruciata: la bisnonna Regina, nonna Rebecca, mamma Stella e la piccola Libera.
Nella semplicità della narrazione (non potrebbe essere diversamente dato che la storia è vissuta e raccontata in prima persona da Libera), Garlando inserisce alcune tematiche che mi stanno a cuore: la famiglia, l’amore, l’amicizia, la passione per le grandi imprese che uniscono gli uomini, lo sguardo dell’uomo verso ciò che è più grande di lui.
La famiglia: nel libro le quattro donne vivono sole, ma all’apparenza. Le due più anziane hanno perso l’amore della vita, Stella è una cantante nel pieno degli anni della contestazione, ha avuto Libera da un americano che poi è sparito, non ha ancora trovato il suo posto nel mondo. La bambina trascorre i giorni nell’attesa del suo ritorno, con una nostalgia che colma nascondendosi tra i vestiti della madre. E il papà? Stupendo ciò che dice Libera stando insieme ai padri dei suoi amici: “Sarà che io ho un debole per tutti i papà del mondo”.
L’amore: germoglia in molte circostanze del racconto, con sfaccettature e implicazioni differenti. Bellissimo il dialogo tra Libera e il panettiere-poeta Pantaleo, in cui quest’ultimo spiega la sua visione dell’amore per Rebecca: “L’amore è come la luna: se non cresce, cala…Io sono una luna crescente, io le voglio bene ogni giorno di più”, “Ma se non le dai mai un bacio! Si può volere tanto bene da lontano?”, “Certo che si può. Guarda il mare. Ogni volta che vede la luna, le va incontro perchè la desidera e ricopre le spiagge. Non ho mai visto nessuno innamorato più del mare. Eppure il mare nemmeno la sfiora, la luna. Se uno ama per davvero, “lontano” o “vicino” non esistono.”
L’amicizia: tra i bambini della storia, tra il vignaiolo africano Zak che ama i Beatles e il napoletano Mimmo che canta le sue canzoni sulla mamma, tra Pantaleo e Rebecca, tra quest’ultima e don Fulgenzio, il sacerdote del paese..
La passione per le grandi imprese: nonna Rebecca è un’astrofisica specializzata in stelle e vede nello sbarco sulla luna un’impresa che renderà l’uomo grande, un fatto che unirà sotto il cielo di quel luglio 1969 gli uomini di tutto il mondo, una conquista non priva di incertezza, pericoli e imprevisti (e ce ne saranno tanti per Armstrong e compagni), ma Rebecca ne è convinta: “Senza coraggio e senza dolore, non saremmo mai usciti dalle caverne preistoriche”.
Lo sguardo dell’uomo verso ciò che è più grande di lui: recentemente una compagna di mio figlio ha scritto questo pensiero “Non accontentarti dell’orizzonte, guarda sempre l’infinito”. È la frase che ha lasciato come ricordo ai professori della loro classe e racchiude una grande profondità per una ragazzina di 13 anni: gli uomini sono fatti per la grandezza (we are glorious dice una canzone), non c’è nulla al mondo che colmi completamente il loro cuore, che risponda pienamente alle loro domande, sono sempre in ricerca. Come 50 anni fa quei tre astronauti che raggiunsero la luna, fino ad allora solo ammirata da lontano. Il libro non lo dice, ma la domanda sorge: saremo ancora e sempre capaci di tenere alto lo sguardo verso le cose grandi della vita?