segni
N.51 Giugno/Luglio 2024
Amorim: «Il segreto dei violini cremonesi è nei segni lasciati dal tempo (e dalla barba)»
«La storia di uno strumento antico è raccontata proprio dall’aspetto della sua superficie». Così Luiz Amorim e la sua famiglia, arrivata dal Brasile nella città di Stradivari, studiano i segni lasciati dal tempo e dalle persone, ombre del passato che rendono i capolavori della liuteria storica dei pezzi unici dal valore inestimabile, da ritrarre e da ascoltare
«Da ragazzo mi piaceva disegnare le persone. Facevo ritratti, ne ho fatti anche a Betina, che poi è diventata mia moglie, oltre che un’ottima compagna di lavoro. Quei segni che tracciavo sulla carta tentavano di carpire l’essenza del volto di chi ritraevo, le sue emozioni, il suo spirito. Con gli strumenti che produciamo funziona allo stesso modo, soprattutto con le repliche di quelli più famosi e apprezzati, che per me sono a tutti gli effetti dei ritratti dell’originale, più che delle copie».
Luiz Amorim ha iniziato la propria avventura nella liuteria in Brasile, a Curitiba, dove con sua moglie, Betina Schreiner, ha lavorato a lungo prima di trasferirsi a Cremona.
L’esperienza fatta da uno dei figli, che aveva scelto proprio la città di Stradivari per un importante percorso di perfezionamento in liuteria, fu decisiva per la scelta di spostare in Italia il fulcro dell’azienda, senza tuttavia abbandonare il mercato sudamericano, dove i lavori degli Amorim erano già conosciuti e apprezzati.
Nel 2018 questa esperienza dette vita alla Amorim Fine Violins, fondata insieme ai figli Luan e Gaian, che è oggi una grande realtà internazionale, ma che non ha perso la propria dimensione familiare, non diversamente da quanto accadeva nelle celebri botteghe di Amati, Guarneri, Stradivari e di molti altri che nel corso dei secoli hanno reso Cremona una vera e propria capitale internazionale della liuteria.
Amorim Fine Violins, strategicamente ubicata nella stessa piazza cremonese in cui sorge il Museo del Violino, è già una tra le aziende più innovative e prospettiche nel mercato della liuteria, con un’attività che spazia dalla produzione al restauro e vendita di violini, viole, violoncelli e archi.
Nella bottega degli Amorim papà Luiz è il Master Maker: «Uno strumento è per me come una tela bianca, sulla quale posso esprimere il mio estro artistico di artigiano», ci racconta mentre tiene tra le mani e ci mostra una delle sue ultime creature.
Luiz Amorim è a tutti gli effetti ciò che oggi definiamo un maker: un artigiano moderno ed eclettico che non viene dalla gavetta in qualche officina o bottega, ma si è formato con lo studio ed è spinto dalla passione e da grandi capacità, affinate negli anni in un percorso articolato e multidisciplinare. Luiz ha infatti iniziato i suoi studi superiori, alla fine degli anni ‘70, presso il Centro Federale di Studi Tecnologici, studiando Meccanica e focalizzandosi su disegno tecnico e progetti, ma in seguito ha anche studiato arte – disegno, pittura e scultura – presso la Scuola Statale di Musica e Belle Arti, attività che ha praticato professionalmente per una decina d’anni. Tratti, forme e segni fanno completamente parte della sua vita e ne hanno determinato il percorso, fino a diventare la sua cifra più autentica nella liuteria, dov’è approdato nel 1995 costruendo inizialmente lire e kantele.
In quello stesso periodo ha anche imparato a suonare violino e violoncello, regalando al proprio talento un palcoscenico multidimensionale, fatto di tratti, colori, suoni, profumi, atmosfere. Nella costruzione dei suoi strumenti ad arco Luiz Amorim ha trovato una perfetta quadratura delle proprie competenze, capacità, passioni e creatività, unendo i puntini della propria identità di artista e di maker con segni decisi e incisivi.
Segni che Luiz studia negli strumenti antichi e che riproduce sui nuovi, quando gli vengono commissionate delle repliche, il cui aspetto estetico finale è la firma di una bottega che cura in modo scientifico la perfetta conformità delle proprie repliche in termini di materiali, forme, proprietà acustiche, timbro, suono, personalità, ovvero tutto ciò che Luiz individua in due precise peculiarità di ciascuno di essi: carattere sonoro e carattere estetico.
«Quando studiavo arte ero profondamente attratto dai dettagli: sopracciglia, rughe, barba, segni particolari e distintivi, espressioni. Ecco, uno strumento antico è per me come una persona da ritrarre. Per noi fare questo tipo di lavoro non consiste nel realizzare copie più o meno fedeli e riconoscibili, ma di creare un vero e proprio ritratto tridimensionale dello strumento originale». Un ritratto che non si limita alla progettazione e alla verniciatura, ma che richiede uno studio approfondito dei segni presenti su ogni singolo strumento.
«La storia di uno strumento antico è raccontata proprio dall’aspetto della sua superficie. Ciò che a lungo ho fatto, a partire da foto in altissima risoluzione degli strumenti, è oggi molto più raffinato, grazie alla stampa 3D. Di ogni strumento facciamo fare una scansione e realizzare una riproduzione tridimensionale quanto più possibile fedele e dettagliata, che mi permette di riportare sullo strumento nuovo tutti i segni del tempo e dell’uso che sono presenti sull’originale».
Ci racconta che «i segni più comuni e banali sono quelli lasciati dalla barba degli strumentisti, perché un tempo non si utilizzava la mentoniera e il legno era a contatto diretto con il viso di chi suonava, che nel tempo ne abradeva la verniciatura e arrivava fino a mordere il legno stesso. All’epoca non si faceva troppo caso a quale parte del violino ci si appoggiava e così capita di trovare strumenti del Cinquecento o del Seicento con segni di abrasione da barba su entrambi i lati della tavola armonica. Di questi segni se ne trovano anche nei violini e nelle viole più recenti, fino all’inizio dell’Ottocento».
Segni del tempo, segni dell’uso, segni delle persone. Ombre del passato che rendono i vecchi capolavori della liuteria dei pezzi unici dal valore inestimabile. L’omaggio di Amorim a questi capolavori e agli artisti che li hanno usati per fare musica è totale, così come la sua dedizione.
Nel mostrarci sul proprio tablet la foto di partenza e il risultato quasi definitivo di una delle sue ultime creazioni, questo sforzo appare evidente, segno dopo segno, sfumatura dopo sfumatura.
«Non si tratta soltanto di segni d’uso. I grandi liutai firmavano i propri strumenti con espedienti stilistici come questo», spiega mostrandoci il particolare di un riccio; «Guarneri padre scavava moltissimo le sue chiocciole e la profondità di scavo che praticava in quel dettaglio rende i suoi strumenti riconoscibili. In una famiglia di liutai lui era senza dubbio quello più vicino alla scultura».
Il processo creativo di Amorim prende il via dallo studio dei dettagli: «Ognuno è importante; presto la massima attenzione a tutti i processi, dalla scelta delle materie prime all’allestimento, con l’obiettivo di continuare sempre a migliorare». La sua grande ispirazione nasce da maestri del passato come Guarneri “del Gesù” che non produceva strumenti in serie, ma aveva un «carattere inventivo e libero, trasferendo a ciascuno dei suoi strumenti la propria identità». Guarneri era un artista, oltre che un artigiano e «aveva tratti espressivi facilmente distinguibili, a differenza della maggior parte dei suoi colleghi dell’epoca, dimostrando di possedere una grande libertà di espressione e di non essere esclusivamente legato alla forma estetica».
Il colore del legno, la sua consistenza, la venatura e marezzatura, il modo in cui questo si presta per diventare il ritratto di un antico strumento è il punto di partenza della ricerca di Luiz Amorim. «Sul legno si possono fare trattamenti e usare tecniche e vernici che gli conferiscono una sorta di trucco, ma i segni lasciati dalla natura non sono modificabili ed è per questo che occorre scegliere con cura il materiale da cui partire». È un segno anche la velatura, la patina, la maggiore o minore luminosità degli strumenti. «Sono segni quasi impercettibili, come una nebbiolina sottile, che conferiscono carattere e unicità».
Un universo di segni che scrivono la storia della liuteria e che rendono il lavoro di questo artista liutaio una meravigliosa alchimia sospesa tra passato e futuro. I suoi strumenti di lavoro sono i più disparati, accomunati tra loro quasi soltanto dalla grande manualità che occorre per farli graffiare, segnare, abradere o in qualsiasi altro modo riprodurre sui nuovi strumenti l’estetica degli originali.
Il laboratorio della famiglia Amorim dispone oggi anche di strumentazioni e di tecnologie che nel periodo barocco non erano neppure immaginabili, ma il fil rouge tra l’opera di Guarneri, Amati, Stradivari e quella di Luiz Amorim è evidente sia nella realizzazione di copie sia nel restauro, dove invece certi segni vanno trattati, riparati o corretti con materiale per lo più ricavato da quegli stessi strumenti, come accade nella chirurgia estetica.
Se i mezzi possono accelerare e semplificare il lavoro, tuttavia, protagonisti erano e restano l’intento, l’ispirazione, la determinazione a raggiungere l’eccellenza e a superarla continuamente. È certamente questo il segno più evidente che l’arte liutaria consegna alla storia insieme ai suoi maestri, un codice non scritto che svela i segreti di una tradizione secolare ma sempre viva e che inebria i sensi di chi ha la fortuna di ascoltare il suono di queste sculture viventi.