ombre
N.34 Ottobre 2022
Chiusi in una stanza per giocare alla vita
Cresce il successo delle escape room, stanze chiuse da cui fuggire risolvendo enigmi, facendo squadra e facendo i conti con insicurezze e lati oscuri
Perché delle persone dovrebbero decidere di farsi rinchiudere in una stanza per poi tentare di fuggire?
«Perché il mistero affascina sempre», ― risponde Lorenzo Polentes, giovane imprenditore veneto, lombardo d’adozione, tra i primi a credere nel successo delle escape room. «Quel che noi proponiamo, infatti, è un’esperienza certamente immersiva e divertente, ma soprattutto aperta al mistero».
Quello dell’escape gaming è un settore in forte crescita: negli ultimi anni ha visto l’apertura di molte sedi in tutta Italia. Definirlo a parole non è affatto semplice, «per questo motivo invitiamo sempre coloro che sono curiosi a provarlo in prima persona», spiega Polentes.
Banalizzando questo tipo di attività di intrattenimento, si potrebbe dire che si tratta di un gioco in cui ci si pone come obiettivo quello di fuggire da una stanza attraverso la risoluzione di enigmi e indovinelli.
La realtà, però, è più ricca. «A ben vedere ― commenta Polentes ― quel che si sperimenta in una escape room è una vera e propria dinamica di continuo svelamento: dall’ombra alla luce, dal mistero alla soluzione».
È dunque la totalità della persona ad essere coinvolta. Suoni, luci e ambientazioni fanno solo da contorno. Il mistero stesso, l’ombra, avvolge i partecipanti fin dal primo istante in cui mettono piede nella struttura. Sarà poi l’esperienza stessa a guidare i partecipanti verso la luce, a condurli in un percorso che li farà uscire dalle tenebre per giungere alla verità.
«Ciò che stupisce sempre, però ― racconta Polentes ― è la bidirezionalità di questa dinamica: non solo le persone sperimentano continui passaggi tra mistero e disvelamento, ma, giocando, fanno emergere le luci e le ombre che abitano in loro».
Non è un caso che quello degli escape game sia uno dei settori più utilizzati per le esperienze di team building aziendale. «Nel corso degli anni ― spiega Polentes ― nelle nostre sedi di Milano, Udine e Roma abbiamo collaborato con moltissime aziende per la realizzazione di eventi dedicati a dipendenti e famiglie». La strutturazione di proposte in cui persone diverse si trovano costrette a collaborare per giungere ad una soluzione comune è in effetti molto efficace per lo sviluppo di quelle che vengono comunemente definite soft skills.
«Tutte le esperienze che proponiamo hanno una consistente ed intrinseca dose di tenebrosità, ma il vero mistero è la persona».
Ed è forse questa la chiave del successo delle escape room. Trovare un modo per passare dall’ombra alla luce, da ciò che non si conosce alla verità è l’obiettivo dell’uomo di ogni tempo. Filosofia, religione, scienza e arte nascono proprio da questa esigenza: svelare un mistero.
«Non so se possiamo definirci filosofi o artisti contemporanei ― scherza Polentes ― ma certamente questa riflessione ci provoca e ci stimola. Dal 2015 ad oggi con la nostra attività, No Exit, ci siamo sempre interrogati a partire da queste domande».
Perché delle persone dovrebbero decidere di farsi rinchiudere in una stanza per poi tentare di fuggire?
Probabilmente perché sentono il desiderio di far luce sulle proprie ombre, di fare un passo verso la verità. Si tratta di un gioco, certo, di intrattenimento. Che, però, pone delle questioni e lascia un segno.
«Probabilmente le escape room sono i giochi che più assomigliano alla vita ― conclude Lorenzo Polentes ― perché chiedono di aprirsi alla verità, insegnano a non fuggire da ciò che è “ombra”, ma ad affrontarlo per giungere alla luce».