eroi
N.18 Febbraio 2021
Come gli eroi dei pedali sulle strade dei pionieri
Davide Segalini, ingegnere ambientale, coltiva la passione per l'epoca eroica del ciclismo Maglie e bici comprese...
La tappa più lunga del Giro d’Italia risale al 28 maggio 1914: Lucca-Roma di 430 chilometri. Era la terza tappa. Quella precedente, diciamo di avvicinamento, era stata la Cuneo-Lucca. Nella prima, Milano-Sestrière, i corridori partirono verso mezzanotte e il traguardo lo passò per primo Angelo Gremo, a piedi.
Sono note, documentabili, di un ciclismo eroico. Quell’anno tagliarono il traguardo finale in 8 ed erano partiti in 81.
Davide Segalini, ingegnere ambientale, oggi 36 anni, di Pieve San Giacomo, ha riprovato la stessa tappa, un secolo dopo, con una bici d’epoca. Partenza a mezzanotte da Lucca, arrivo a Roma dopo 23 ore e 25 minuti. Totale chilometri 460, dovuti ad un errore sul percorso. Tanto, 30 in più 30 in meno…
Segalini, come si fa ad essere così matti da tentare un’impresa del genere?
«Direi: come si fa ad essere così bravi nel riuscire in una simile impresa?»
Peraltro, dati alla mano, il distacco da Girardengo sarebbe stato pesante…
«Eh, sì. Girardengo, che era un campione, ci ha messo 17 ore e 28 minuti. Avrei preso un bel distacco. Poi, a dire la verità, l’ho corsa con la ruota libera e non con il pignone fisso come si usava all’epoca, che non ti consente mai di rilassarti sui pedali, nemmeno per qualche secondo. Con lo scatto fisso, però, ci ho provato nella rievocazione della prima tappa in assoluto del Giro d’Italia 1909, la Milano-Bologna. Abbiamo ripetuto il percorso dell’epoca che, diciamo, la prendeva un po’ larga. Da Milano a Bergamo, poi Brescia, Verona, Vicenza, Padova, Ferrara e da lì, via libera fino a Bologna. Era meno lunga della Lucca-Roma perché si fermava a 394 chilometri. Anche quella è stata un’impresa…».
Allora, deve aver corso anche la mitica Cuneo-Pinerolo, quella nella quale Coppi salutò tutti al primo colle e lo rividero al traguardo…
«Proprio così. L’abbiamo corsa 2 anni fa, lo stesso giorno della tappa del ’49».
E dire che Segalini era un ciclista normale, fino al 2010. Correva, come tutti gli appassionati, con una bici dal telaio leggerissimo. Oggi ne ha una decina da collezione, pesantissime e che ha anche il coraggio di usare. «La mia passione è nata dal nulla -e all’improvviso – racconta – Nessuno in famiglia è appassionato di biciclette. Ho letto qualcosa sul ciclismo eroico, mi sono sentito coinvolto. Ho fatto 3 o 4 volte l’Eroica, sulle strade bianche della Toscana…
Tre, o quattro volte? Sembra quasi un ricordo non importante…
«Ci dovrei pensare. La prima, sicuramente, l’ho fatta nel 2011, poi sono tornato altre volte. Ha un suo fascino, senza dubbio. Ma con gli anni, il business l’ha contaminata e per questa ragione non è più la sessa delle prime edizioni. La prima volta che ho partecipato ero con altri mille corridori. Poi, alcune edizioni dopo, hanno raggiunto i 7 mila iscritti. Più il campo si allarga, meno mi ritrovo. E con altri che, come me, erano alla ricerca del vero ciclismo storico, nel 2016, abbiamo fondato la Nova UVI. L’U.V.I era la vecchia Federazione Italiana di Ciclismo, dove però la V sta per Velocipidisti. Siamo 107 tesserati: alcuni si cimentano nelle rievocazioni storiche, altri si documentano sulle corse, altri si sono specializzati nella meccanica delle biciclette d’epoca. Organizziamo due rievocazioni storiche ogni anno e raduni in cui ritrovarci tra tutti i soci sparsi dalla Val d’Aosta alla Puglia…». Sul sito dell’Associazione si può trovare la vera versione del celebre passaggio della borraccia tra Bartali e Coppi al Tour e l’organizzazione del pellegrinaggio annuale a Genova dal Santo protettore Ugo Canefri, che ogni anno veglia sulle imprese del manipolo di intrepidi velocipedisti
L’ultima, prima del Covid, è stata…
«Nel 2019 abbiamo rievocato la Classica la XX settembre, la Roma-Napoli-Roma, che venne disputata ininterrottamente per tredici edizioni dal 1902 al 1914. In origine era andata e ritorno nello stesso giorno, per poi passare in 2 tappe dagli anni ‘20. La vera rievocazione avrebbe dovuto esserci lo scorso 20 settembre, a 150 dalla breccia di Porta Pia (da dove si parte e dove si arriva). L’edizione del 2019 doveva essere una prova generale. La riproporremo, se tutto va bene, nel prossimo settembre».
Che progetti avete per quando si uscirà dal tunnel?
«Non per quest’anno, dice? Noi avremmo previsto una rievocazione di Tano Belloni con una serata al Vigorelli e una Milano-Pizzighettone. Tano Belloni, che vinse un giro d’Italia, era originario di Pizzighettone. In giovanissima età, si spostò a Milano e sembra che tornasse dai parenti ogni settimana, non in treno naturalmente. Pensiamo anche ad una rievocazione in omaggio a Fiorenzo Magni, a 70 anni dal terzo successo consecutivo nel giro delle Fiandre, una classica del Nord che si corre in primavera, che gli valse il titolo di Leone delle Fiandre. Siamo in contatto con amici del Belgio e del Museo del Ghisallo di cui Magni fu l’artefice della creazione; speriamo di poter organizzare il tutto ad inizio estate… ».
È vero che lei è appassionato di un corridore sconosciuto degli Anni 20?
«Sì, Carlo Galetti. Non proprio uno sconosciuto perché ha vinto 3 Giri d’Italia, nel 1910, 1911 e 1912. Mi ha stregato una sua immagine in un giornale dell’epoca: piccolino, naso a punta, vestito come un saltimbanco. Era quello che cercavo. Mi sono fatto fare una maglia come la sua, della Bianchi, in lana come si usava allora».
E la bici di Galetti, l’ha cercata?
«Sì, l’ho cercata a lungo. Di bici Bianchi del 1911, però, ce ne saranno 2 in tutta Italia e bisognerebbe sapere dove sono…».