piaceri
N.11 Maggio 2020
E senza fregatura
Perché ascoltare, suonare e imparare la musica scioglie la contraddizione tra il desiderio di godersi la vita e la sfida di conquistarsela
Tutto è follia nel mondo ciò che non è piacer».
Durante una recente e quanto mai avventurosa videolezione con una mia terza media, mi sono sorpreso riascoltando queste parole, cantate da Violetta Valery, la Traviata di Giuseppe Verdi. Ho pensato a quei quattordicenni al di là dello schermo. Ho pensato a me alla loro età. Quanto ha ragione Violetta!
La vita senza piaceri cosa sarebbe? Una follia insostenibile. Ma cosa significa per me, quasi quarantenne musicista e insegnante, l’esperienza del piacere?
La musica è senz’altro uno dei piaceri della vita. E io nella vita ho sempre fatto questo perché mi piaceva. Torno appunto a quando avevo l’età dei miei alunni. Ho sempre disprezzato il proverbio «prima il dovere e poi il piacere». Ma dove sta scritto? E, giovane ribelle, volevo ribaltare il detto.Ora che sono un adulto ribelle capisco che non funziona nemmeno il contrario: «prima il piacere e poi il dovere». La vera scoperta che faccio ogni giorno nella mia vita è che piacere e dovere coincidono. È proprio seguendo quel piacere, quel fascino intravisto nella musica da ragazzino che sono andato incontro ad un sacco di fatiche, sacrifici, responsabilità, amarezze.
E ho scoperto che andare al fondo del piacere è una sfida enorme.
Quante volte, affiancando i miei alunni nello studio dello strumento, ho dovuto sostenerli dentro l’arida fatica dello studio. Dietro al piacere di una melodia bellissima di pochi secondi c’è un lavoro pazzesco: la tremenda ripetitività di centinaia di ore di esercizi tecnici, scale, arpeggi. Una routine che a volte arriva ad essere obiezione. Affiora una grande contraddizione all’esperienza del piacere, come se dietro all’entusiasmo iniziale ci fosse una trappola. Questa trappola è ciò che spaventa di più i giovani che incontro. Dopo esperienze commoventi e momenti intensissimi, si presenta una paura subdola: «Ma prof, ma se poi finisce tutto? Ma se non dura? È troppo bello per essere vero…dov’è la fregatura?».
È una paura che probabilmente abbiamo instillato nel loro sangue noi adulti. Spesso, anche nella musica e nella scuola (i due mondi in cui vivo) prevale la delusione, la noia, il lamento e questo diventa un’ anestesia ad ogni possibilità di piacere per me e per chi mi circonda.Se ci guardiamo intorno troviamo gente che insegue diverse forme di benessere, ma non è per niente facile trovare qualcuno che cerca di gustarsi veramente la vita in ogni suo risvolto.
Ma quando capita di incontrare gente così non puoi più dimenticarlo perché inizia nella vita qualcosa di nuovo. Io ho avuto la grazia di nascere tra gente così. Mia mamma che mi svegliava cantando, mio padre che tornava dall’officina e ascoltava Beethoven, la mia maestra dell’elementari che ci faceva lezione con la fisarmonica, i miei maestri di strumento che avrei ascoltato suonare per ore a bocca aperta. E così, di incontro in incontro, è maturata in me la coscienza di ciò che dice Pavese: «Ciò che l’uomo cerca nei piaceri è un infinito». Questo infinito non è una categoria astratta ma si rivela dentro alla bellezza del fare musica, nello stare insieme ai ragazzi, nel camminare insieme ad amici che mi comunicano questo gusto del vivere.
È cresciuto in me il desiderio di godermi ogni cosa, di quella goduria per la vita senza fine che cantiamo nel Regina Caeli in questo tempo di Pasqua. Solo dentro a questa esperienza di letizia la contraddizione del dovere e della fatica non è più «fregatura» opposta al piacere, ma parte di un cammino esaltante e pienamente umano. Così vedo realizzarsi questi meravigliosi e cari versi di Jovanotti:
«A te che hai reso la mia vita
bella da morire
che riesci a render la fatica
un immenso piacere»