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N.36 Dicembre 2022
Generazioni sul tatami: a scuola di vita con il Kodokan
Andrea Sozzi insegna il judo nella scuola fondata da papà Giorgio. Nicole è una giovane allieva. In palestra lavorano ogni giorno per diventare insieme cintura nera di umanità
La palestra è una grande sala vuota. La fredda luce dei neon si riflette sul tatami. Non sono mai stato in uno spazio tanto vuoto e, nello stesso tempo, popolato. Mi sfilo le scarpe, salgo sulla stuoia. Mi sembra di percepire, dalla pianta dei piedi, risalire nel corpo una sorda vibrazione.
Il dojo è deserto, ma le sue pareti parlano. Sono tappezzate da locandine e immagini di competizioni provenienti da ogni angolo del mondo. Al centro della sala, severi e composti, i ritratti dei numi tutelari: a sinistra Kano Jigoro, fondatore del judo, a destra Giorgio Sozzi, fondatore del Kodokan Cremona.
Ogni giorno, per un attimo, Andrea Sozzi, quando entra in palestra, incrocia i loro sguardi. Forse pensa a quanto sia impegnativa l’eredità lasciatagli dai due maestri, forse trae forza e coraggio dal loro esempio, di sicuro ha le spalle abbastanza larghe e una sorella abbastanza forte con cui condividere l’avventura iniziata dal padre nel lontano 1971.
Di fianco ad Andrea compare una sua giovane allieva: Nicole Capelli. Tra i due corrono esattamente 30 anni di differenza. «Il primo approccio con il judo l’ho avuto a 8 anni, durante un camp in montagna. Appena rientrata a Cremona sono corsa ad iscrivermi al Kodokan», racconta la ragazza.
Il ricordo più lontano di Andrea («avrò avuto 4 anni») è legato al viaggio in macchina per andare ad allenamento. E dopo quanti anni hai compreso l’importanza del judo nella tua vita? «A circa 13 anni ho cominciato, senza particolare entusiasmo, a gareggiare. Non ero un agonista e ho perso i primi incontri. Poi ho vinto un torneo. È stata una grandissima soddisfazione, ho iniziato a credere in me stesso. Mi sono detto: farò tutto quello che serve per ripetere questa esperienza».
La scintilla che cambia la vita. «Da lì è cambiata la scala delle mie priorità e ho iniziato un percorso di crescita fatto di allenamenti quotidiani e una completa dedizione. D’altronde – aggiunge con un sorriso – tutti quelli che vogliono arrivare devono fare così».
Anche Nicole ha impressa nella mente la prima gara. «Avevo 10 anni e mi ricordo bene la sensazione elettrizzante della vittoria. Mi dissi che volevo continuare e, da allora, non ho più smesso di gareggiare e collezionare medaglie».
Come Andrea, anche Nicole a 13 anni è passata nella squadra agonistica. Il suo impegno ha iniziato gradualmente a intensificarsi passando da due allenamenti settimanali agli attuali otto. «Tra qualche mese ci sono i Campionati Italiani e voglio far bene».
Cosa significa per te “far bene”? «Arrivare sul podio e prendere la cintura nera» afferma con serena determinazione.
«Da giovanissimo pensi sempre in grande – afferma Andrea – per me ad un certo punto è arrivato il momento in cui ho capito che il percorso intrapreso non mi avrebbe portato al professionismo. Mi sono iscritto all’università, ho proseguito ad allenarmi anche se ho ridotto i miei obiettivi».
Poi, cos’è accaduto? «A 25 anni, ancora giovane come atleta, ho avuto un problema fisico che mi ha fermato per qualche mese. Il rientro agonistico, nonostante fosse previsto, non è mai avvenuto».
Nicole Capelli e un gruppo di piccoli allievi del Kodokan Cremona sul tatami dove si allenano
Mentre chiacchieriamo, sciamano dalla palestra una trentina di bambini. Chiacchierano entusiasti mentre cercano le ciabatte con cui correre nello spogliatoio. «Nel periodo in cui ero fermo – prosegue Andrea – ho iniziato ad accompagnare gli atleti più giovani. Così, a poco a poco, smessi i panni dell’agonista mi sono innamorato dell’insegnamento. Un percorso più impegnativo dal punto di vista della responsabilità e della maturazione perché fai un sacco di sforzi ma, alla fine, vincono gli altri» conclude sogghignando. «A parte le battute – continua – mi piace moltissimo aiutare i ragazzi a scoprire le proprie qualità, vederli fiorire, osservarli crescere umanamente e sportivamente».
Dopo qualche minuto di quiete, silenziosi e sicuri di sé, entrano in palestra i ragazzi adolescenti. Andrea, con affettuosa autorevolezza, li invita ad iniziare il riscaldamento mentre terminiamo l’intervista. «È normale, alla loro età, pensare solo a vincere. Certe cose le ho capite anche io solo con il tempo. Il maestro Romanacci mi ripeteva che vittoria e sconfitta fanno parte dello stesso percorso e di quanto sia importante, ancor prima di vincere una medaglia, essere una persona buona, generosa, vera».
Prosegue, citando il fondatore della disciplina: «Se un judoka raggiunge la perfezione, ma non si mette a disposizione del bene della società, è inutile». E il pensiero non può che andare alla notevole azione divulgativa e pedagogica svolta da suo padre Giorgio Sozzi: «Adesso che l’ho perso (nel 2012 a 72 anni), sto elaborando il suo insegnamento. Un’eredità basata molto più sui fatti che sulle parole».
Nicole ha fretta di raggiungere i compagni sul tatami. Ci concede un minuto ancora per condividere un pensiero riguardo ai suoi allenatori: «Ilaria Sozzi ha scavato le fondamenta, Andrea ci ha costruito sopra per arrivare alla persona che sono oggi, non solo come atleta. Io e gli altri allievi veniamo trattati con rispetto e ci comportiamo in palestra nello stesso modo: facciamo sempre il saluto nel momento in cui saliamo sul tatami, chiediamo sempre il permesso al maestro prima di scendere. Andrea, per tutte le volte che lo vedo e per la relazione che abbiamo instaurato, è come un secondo padre».
Lui sorride commosso. È lo stesso sorriso di papà Giorgio, che dalla cornice della foto la palestra si affaccia ancora sul tatami della palestra del Kodokan.