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N.36 Dicembre 2022

IN CAMPO

Valerio, una vita da numero 1 in tuffo attraverso le generazioni

Quella di Dornetti, portiere a 58 anni, è la storia di una passione straordinaria, che supera lo scorrere del tempo, la nostalgia e la fame di record: «Continuo a giocare perché mi rende felice»

Valerio Dornetti, 58 anni, in azione tra i pali

Il rito si ripete da quasi mezzo secolo. L’arrivo al centro sportivo in abbondante anticipo per respirare l’atmosfera dello spogliatoio, senza frenesie o rincorse dell’ultimo minuto. L’apertura del borsone. La cura lenta e maniacale dei preparativi. Gli ultimi pensieri della lunga giornata di lavoro che si dissolvono per lasciare spazio alla passione. E infine la vestizione solenne – tuta, scarpini, guantoni – prima di seguire per l’ennesima volta il richiamo selvaggio del campo, e iniziare a tuffarsi tra i pali come un adolescente felice. Così, due o tre volte a settimana. Più la partita della domenica pomeriggio. Dal 1980.
Eppure, Valerio Dornetti non si è ancora stancato. Dopo 4.000 allenamenti, più di 1.200 partite e 42 campionati dalla Serie D a scendere (47 aggiungendo gli anni del settore giovanile), l’intramontabile portierone di Credera Rubbiano è tra i calciatori in attività più longevi dell’intero panorama calcistico italiano e internazionale. A 58 anni suonati Valerio difende la porta del Calcio Crema in Terza Categoria, parando rigori a giovanotti che potrebbero essere suoi figli o nipoti. Se il fuoco della passione continua ad ardere nel punto più profondo del nostro cuore, sostenuto da dedizione e costanza nelle piccole azioni quotidiane, allora anche l’età può diventare un concetto relativo.
Più che un rifiuto dello scorrere inesorabile del tempo, è quindi romantico leggere nella storia del veterano cremasco la ribellione allo stile di vita pigro e rinunciatario cui tendono a consegnarsi molti uomini di mezza età.

«Chi mi chiama, ancora oggi
sa che non fingerò mai di avere la febbre
per non scendere in campo
a prendere il freddo e la pioggia»

«A volte mi chiedono se il mio obiettivo, arrivato a questo punto, sia quello di stabilire nuovi record di longevità o raggiungere chissà quali primati fissati da portieri di continenti lontani – ci racconta Valerio, durante una breve pausa dalla sua attività professionale, che è quella di consulente finanziario – Volete la verità? A tutte queste cose, quando scendo in campo, non penso mai. Continuo a giocare semplicemente perché stare tra i pali mi regala divertimento, emozioni, adrenalina. A volte sono in giro per lavoro, e tra un cliente e l’altro mi sorprendo a pensare già all’allenamento serale. Così inizia il conto alla rovescia. Perché è l’essere lì, con i guantoni, in mezzo ai ragazzi, che mi rende felice, mi fa tornare a casa la sera tardi, dopo l’allenamento, appagato e in perfetto equilibrio con la vita».
Quella tra Valerio e il calcio è una storia d’amore iniziata negli anni Settanta: «Eravamo bambini di campagna, in giro dal mattino alla sera, solo il tramonto del sole ci suggeriva il momento di rincasare per la cena. Non avevamo smartphone o altre distrazioni sempre in tasca a portata di clic. E in quella società, meno ricca materialmente, ma anche più autentica, il calcio era tutto. Ci bastava poco per volare con l’immaginazione, al contrario dei ragazzini di oggi che hanno qualsiasi strumento a loro disposizione, ma sembrano costantemente annoiati. Sento ancora sulla pelle l’emozione provata nel Trescore, la mia prima squadretta da ragazzino, quando i dirigenti mi consegnarono le scarpe e la divisa da gioco. Dai 14 ai 17 anni sono cresciuto nel settore giovanile dell’Atalanta, al fianco di Roberto Donadoni. Una bella palestra di vita: ogni giorno in motorino, da Credera, raggiungevo la stazione di Crema, da lì in treno proseguivo fino a Bergamo. Non riuscii a sfondare nel professionismo. Così a 18 anni debuttai a livello dilettantistico con il Crema 1908. Si giocava a Melegnano, parai subito un rigore. Da qualche parte ho conservato il ritaglio della cronaca uscita sul giornale. Oggi è tutta ingiallita».

Dal Crema in avanti, Dornetti non si è più fermato, toccando da portiere sei diverse province e due regioni, dall’Offanenghese all’Oltrepo pavese, dalla Luisiana di Pandino a Caorso (dove, peraltro, ha condiviso una stagione con il padre di Nicolò Fagioli, ex talentino della Cremonese oggi protagonista nella Juventus) e la lista potrebbe proseguire per minuti. Rileggere il curriculum calcistico di Valerio è come salire sulla macchina del tempo: anni Ottanta, Novanta e Duemila. Lacrime di gioia per i sette campionati vinti e lacrime di delusione per le tre retrocessioni subìte. Una manciata di allenamenti saltati in cinquant’anni di calcio, e mai per negligenza (giura lui, e c’è da fidarsi).
E poi la passione, quella riserva di energia inesauribile che ha portato il classe ’64 di Credera attraverso tre o quattro diverse generazioni di sportivi dilettanti. Non senza un velo di amarezza, almeno per come ne parla oggi.
«Vengo da un mondo nel quale la parola data valeva quanto un atto notarile: per me è ancora così, per i ventenni del 2022 evidentemente no… – continua il portiere cremasco con un tono improvvisamente immalinconito – Un piccolo raffreddore diventa la scusa per saltare una gara di campionato. Si cercano continuamente scorciatoie e alibi per faticare il meno possibile, per non allenarsi, per dribblare i sacrifici. La scorsa domenica, per esempio, siamo arrivati a undici per miracolo e in campo è andata malissimo: una sconfitta umiliante. E sapete perché? Perché è svanita la magia dell’attesa, la sacralizzazione della categoria, del risultato, della partita che arriva alla domenica dopo che l’hai sognata per tutta la settimana. Oggi è diverso, i giovani pretendono tutto e subito. Possibilmente, senza sbattersi troppo. Ma così lo sport, il nostro sport, muore. Si deforma. Diventa il calcetto senza impegno tra amici nel quale si gioca un po’ a caso e con la testa già alla birretta, e pazienza se qualcuno non si presenta. La mia concezione di calcio, calcio vero, sudato, rispettato, nobilitato dall’impegno, è un’altra. E sapete qual è la conseguenza di tutto questo? Che nei settori giovanili delle società professionistiche, fateci caso, i ragazzi italiani sono sempre meno. Mentre nei dilettanti il sottoscritto, a quasi 60 anni, continua a ricevere chiamate, anche con proposte di rimborso, da società di Prima Categoria. Certamente in giro ci sono portieri più freschi e reattivi. Però chi mi chiama, ancora oggi, è certo di una cosa: che non mi sveglierò mai alla domenica mattina fingendo di avere la febbre per non scendere in campo a prendere il freddo e la pioggia».

«Tre anni fa
avevo promesso
a mia moglie
che avrei mollato…»

In mezzo a tante soddisfazioni, a Valerio resta un altro grande rimpianto.
«In quarant’anni di calcio da portiere non ho mai segnato un gol. L’anno scorso, con la Lodigiana, mi avevano promesso che avrei calciato il primo rigore disponibile ma quel rigore non è mai arrivato. Vediamo ora. Non lo nego, sarebbe la ciliegina sulla torta».
Prima di appendere le scarpe, anzi i guantoni, al chiodo?
«Tre anni fa avevo promesso a mia moglie che avrei mollato. L’ultima stagione e poi basta, ripetevo, e per un certo periodo mi ero pure convinto. Ma alla fine ho cambiato idea. Ora punto ai 60 anni. Quello potrebbe essere il punto d’arrivo. O forse no. Chissà… Lo so, continuo a rimangiarmi le parole dette, ma la voglia di calcio è ancora troppa. A volte, in campo, capita che gli avversari mi chiedano quale sia la pozione magica per non invecchiare mai. Non esiste, ma provate ad amare intensamente quello che fate ogni giorno, per anni, senza risparmiarvi mai: è questo il vero elisir di lunga vita».