scuola
N.13 Settembre 2020
Giovani e meraviglie. Diventare “belle persone” *
Nello sport come sui libri ognuno (ragazzi e adulti) è chiamato a dare il meglio di sé perché «le soluzioni al virus non vengono dal divano o dal letto, ma dal mettersi insieme, ricaricarsi, guardare avanti»
Ho rivisto le telefonate dei miei alunni per un allenamento in prima squadra, in serie B o, addirittura, in serie A, convocati agli Europei o al Mondiale Under-17. Ho risentito la trepidazione loro e delle loro famiglie, la gioia per quell’inattesa chiamata che fa piacere, il desiderio di dare il massimo. Ma anche ho riflettuto attentamente sul fatto che, partendo, anche per molto lontano dall’Italia, non stiano affatto “perdendo” tempo solo perché non frequentano le “mie” lezioni. Le lezioni sono sempre ciò che la vita, la famiglia, lo sport, il conservatorio, la rete, gli amici, le esperienze educative offrono. Cioè quanto di positivo ciascuno può lasciare in un giovane e quanta accoglienza ha un giovane nel lasciarsi contagiare da un noi educante.
La videolezione, la fiducia nata nelle case, i compiti in classe trasformati in “compiti fatti in cucina”, con la tentazione a portata di mano di copiare la traduzione dal greco su Internet, ne sono una prova.
«Grazie prof di essersi fidato di noi». Sono belle queste frasi che parlano di una scuola nuova, di adulti nuovi, di un “contagio” di fiducia che chiede “rete”, collaborazione, condivisione e passa continuamente dall’io, inutile e stantio, alla freschezza del noi.
Se, talvolta, la scuola si illude di poter fare da sola, fallisce miseramente il suo intento, costruendo un mondo “di frutta candita”, che non esiste. Al contrario, se la scuola entra a pieno itolo nel processo educativo, si mette a fianco dei giovani che fanno anche sport, può essere un elemento significativo per la loro crescita, cammina accanto, sostiene le famiglie, ascolta i bisogni e i desideri di ciascuno: allora l’atleta cambia semplicemente luogo e l’aula lascia il posto a un campo sportivo, i suoi compagni di classe ad altri “fratelli di squadra”, i professori a un allenatore in gamba, la campanella a un fischio d’inizio e di fine partita, le verifiche sulle competenze a gare che possono mettere la persona a dura prova e aiutarla a crescere. Mutano luoghi e tempi. Lo stile di accompagnamento e di ascolto può rimanere.
Bellezza e impegno
Sport e scuola sono chiamati a parlarsi sempre più a cuore aperto; le dinamiche della persona, in classe e sul campo, in famiglia, nelle relazioni mettono in evidenza come quel ragazzo che scende in campo con la maglia 95 dell’Inter, la 2 della Nazionale Under-17, la 26 della Pistoiese, la 4 dell’Offanenghese sia, anzitutto, un ragazzo che diventa uomo, una persona che mette in campo sé stessa insieme ad altre. Nei mesi di “clausura” per il Coronavirus, gli adolescenti e i ragazzi ci hanno indicato «la ricetta per dare infinito gusto alla vita, perché permette di riconoscere la vita nascosta in ogni cosa: a casa, al lavoro, nel dolore, nella fatica, nelle relazioni, nella luce sulle foglie… in tutto, perché solo ciò che viene fatto con e per amore diventa vivo. Così la “vita di sempre” diventa la “vita per sempre”».
Solo bisogna “aver fede” per accorgersi e contemplare.
Questa è la bellezza di un giovane. Comprendere il senso di ciò che fa. E noi adulti siamo continuamente stimolati a integrare tutti gli aspetti della sua vita.
Ognuno è chiamato a mettercela tutta perché quello che sta facendo possa riuscire. E mai da solo. Sempre accompagnandoci a chi ci vuole bene, non ci sfrutta, sa che quel campo, quella gara, quella verifica, quella scelta sono la fine di una serie di prove e ragionamenti, confronti e discussioni sul valore di ciò che si fa. Il rischio di considerare un ragazzo per un solo aspetto c’è. E allora si dice: «È proprio un valido studente. È difficile trovare ragazzi così motivati allo studio». Oppure: «È un vero professionista del calcio».
Le dimensioni formative vanno tenute insieme fino a dire: «È una bella persona. Dentro e fuori».
Il foglio di collegamento del Liceo Vida di Cremona, nel quale insegno da tanti anni, si chiamava «Belli dentro», e mi piaceva l’idea che ciascuno fosse considerato non in base al voto, allo sport o alla pratica di qualche strumento musicale, ma che ci si allenasse, in particolare, a essere trasparenti, vetri che riflettono una luce particolare. La vita è bella per questo: perché ciò che facciamo e scegliamo di fare ci rende “belle persone”. In una delle lezioni di maggio con la Quarta del Liceo Scientifico Vida, formata da ragazzi sprint e con grinta, ho detto loro che «non possiamo terminare quest’anno scolastico con le gomme sgonfie ». Al contrario, abbiamo bisogno di alzare la testa, di volare alto, di riempire di sogni e desideri buoni la nostra esistenza.
Le soluzioni al virus non vengono dal divano o dal letto o dal non fare nulla, ma dal mettersi insieme, ricaricarsi, guardare avanti.
E, a tal proposito, il poeta latino Giovenale (vissuto tra il I e il II sec. d.C.), in una delle sue sedici Satire in cui prende a bersaglio i vizi della vita romana, scrive che «bisogna pregare gli dèi per avere una mente sana in un corpo sano» (X, 356).
Lontano dal pensare “all’esercizio fisico che farebbe bene a una mente sveglia”, come oggi – ed è pur vero – si crede, il poeta latino canta in esametri una grande verità, e cioè che l’oggetto della nostra preghiera agli dèi non possono essere i beni materiali, le ricchezze, le glorie effimere alle quali l’uomo si attacca e i successi di cui s’innamora. L’oggetto della preghiera agli dèi deve essere «un corpo sano» e una «mente sana», cioè una persona che sta bene, non ha vizi e ragiona rettamente.
Ogni atleta è una persona e, pur nei sacrifici di una vita messa a dura prova dall’attività fisica, può lavorare, con la stessa assiduità, per una “luce” e una “bellezza” interiori che fanno risplendere le proprie scelte e decisioni.
* Un album per crescere
Il testo e l’illustrazione riportati in questa pagina sono tratti dal volume “Se aveste fede come un calciatore” pubblicato a settembre 2020 dalle edizioni San Paolo.
L’autore, don marco D’Agostino, è il rettore del Seminario vescovile di Cremona e insegnante di lettere al Liceo Vida. In queste pagine – come si legge nella nota all’edizione – «ci invita ad affrontare il tema educativo da una prospettiva inedita: quella degli… album delle figurine dei calciatori che diventano, per l’occasione, veri e propri ricettacoli di saggezza e insegnamenti sulla “fede”. Partendo dalla suggestione degli album, intrecciando la propria voce con quella di giovani amici calciatori, come Alessandro Bastoni (che autografa la prefazione), Francesco Lamanna (autore di una profonda postfazione) e altri ancora, l’autore ci trascina in una rilettura della vita e del Vangelo proporzionata alla nostra passione calcistica, dove ogni momento (primo tempo, intervallo, tempi supplementari) e ogni sfida (rigori, arbitraggi, allenamenti) sono metafora del diventare adulti».
Ad impreziosire il volume la raccolta delle figurine originali illustrate da Paolo Mazzini.