scuola

N.13 Settembre 2020

SPORT

C’è anche il Campo Scuola
tra le sette meraviglie di Sveva

Abbiamo incontrato la campionessa di eptathlon a bordo pista del campo di allenamento dell'Atletica Arvedi dove costruisce i suoi successi e custodisce i suoi ricordi «Perché non basta essere supereroi per arrivare a cento»

«Esercizi di yoga, lanci dei 5 chili (per sei volte), palla medica sopra la testa… e tre simpatici chilometri per finire». Sveva legge ad alta voce il messaggio del coach. Gli altri ragazzi della squadra ascoltano con attenzione, poi qualche battuta sulla corsa finale che non piace a nessuno ma oggi non tocca a tutti.

Lei ride divertita. A 24 anni è la veterana del team Atletica Arvedi: «Passo qui dalle tre alle sei ore al giorno. Ne ho viste di stelle comete cadere in fretta. E ne ho visti di ragazzi magrolini che sembravano senza speranza e che invece sono cresciuti fino ad arrivare in pista ai campionati italiani».

Lei, Sveva Gerevini, i campionati italiani assoluti, pochi settimane fa a Padova, li ha vinti per la quarta volta consecutiva, in una giornata magica per la squadra cremonese che ha portato anche Dario Dester sul gradino più alto del podio nel decathlon maschile. L’eptathlon è il suo regno: 100 metri ostacoli, salto in alto, getto del peso, 200 metri piani, salto in lungo, lancio del giavellotto e 800 metri. «Il mantra di un eptatleta – scrive nella sezione del suo sito dedicato a “I segreti dell’eptathlon” – lo coglie bene Haruki Murakami nel suo libro l’arte di correre: “il dolore non si può evitare, ma la sofferenza è opzionale”».

La campionessa azzurra risponde alle domande dell’intervista senza nemmeno pensarci mentre i compagni di squadra che aspettano il suo “via” per iniziare a riscaldarsi ascoltano rivelando con il silenzio e gli sguardi l’ammirazione per la compagna di squadra a cui strappare il segreto del riuscirci: «La differenza sta nella testa e nella voglia di fare fatica. Non basta essere supereroi: se hai doti naturali puoi arrivare fino a cento, ma ci può arrivare anche chi si fa il mazzo pur senza essere nato campione. Io – si stringe tra le spalle sotto la t-shirt tecnica “da lavoro – non sono certo una superdotata. Mi sono sempre dovuta sudare tutto». Che raddoppia la soddisfazione… «anche se qualche volta vorrei essere Fiona May o sua figlia. Però alla fine sto sempre la parte dei non-super».

La giornata minacciava qualche goccia, ma forse ce la caviamo con una velatura che spegne un po’ il rosso un po’ frusto della pista. Le foglie hanno già iniziato a cadere, il fondo gommato mostra tutti i segni del tempo e dell’usura. Sveva getta attorno un’occhiata un po’ rassegnata ma carica di affetto: «Il bidello delle elementari di Casalbuttano mi vedeva sempre correre nel corridoio. È stato lui a parlare di una bimba un po’ pazza all’allenatore dell’Atletica Arvedi. E lui a mia nonna. È stata lei ad accompagnarmi in pista per la prima volta. All’inizio mi allenavo a Casalbuttano, il mio paese, e si veniva qui al Campo Scuola una volta a settimana. Ricordo quei giorni: era un grande evento. Questo posto era per noi un grande parco giochi».

Per chi, come lei, getta su questa pista tutta la carica di una passione travolgente e tutto il sudore della fatica quotidiana, il Campo Scuola è un album di ricordi. «Come la mia prima gara sui 600 metri. Era primavera e dai pioppi pioveva come una bufera di neve. Ho corso gli ultimi 150 senza vedere nulla, un po’ per la fatica un per i “piumini”». Chiedere se sia tra le pagine dei bei ricordi o meno è francamente una domanda banale… «Beh, non granché – sorride Sveva – ma poi la gara andò bene».

Anche quel giorno ci sarà stato qualcuno con cui festeggiare. Altre volte invece servivano mani forti sulle spalle o spalle su cui versare le lacrime della stanchezza e della delusione. «È la squadra che ti porta qui ogni giorno con entusiasmo. E a fare volentieri anche lavori orrendi come le ripetute… portare la fatica in due è un’altra cosa».

Perché per portare nello zainetto la medaglia d’oro (…dorata) bisogna passare dalle lacrime che arrivano, puntuali, alla terza ripetuta. «Ma finisco sempre» assicura la campionessa italiana.

«Sai cos’è? – alza gli occhi – È che non mi sono mai accontentata. O il top o niente». E ti sembra normale per un’atleta che si è specializzata in una disciplina che ne contiene sette. Però lei pensava alla scuola. Quella dei banchi e dei voti. «Sono sempre andata bene – racconta – anche se il passaggio dalle medie al liceo Vida è stato difficile: le richieste si alzavano, cambiavo compagni, lasciavo il paese per venire in città. È stato un momento difficile anche per lo sport, ma non ho mollato. Ho imparato ad organizzarmi». E a svegliarsi alle quattro del mattina per finire i compiti. O per preparare un esame al primo appello all’università: «Ho studiato da tecnico di radiologia. È stato il massimo: avevo il mio obiettivo e ho fatto tutto quello che serviva per raggiungerlo». Centodieci e lode, badando sempre di tenersi libera da scadenze e pensieri accademici nei periodi dei Campionati. Quando l’adrenalina va indirizzata sulla gara, la voglia di imporsi va coccolata con cura per lasciarla condurre i giochi in pista. «Lì sei tu». Con la tua competitività, i tuoi muscoli e anche la gastrite che ti mette a dura prova quando la pressione arriva all’apice. «Nel 2018 ero stata fuori molto per un intervento alla caviglia. Sentivo lo stress della gara e ho fatto due giorni piegata in due dai dolori di pancia… ma è andata bene».

Questione di testa, si diceva. E- sì – si impara a scuola. Passando notti sui libri e pomeriggi nelle scarpe da corsa, oggi anche dopo il lavoro. Qui, al vecchio Campo Scuola: «Piangerò di emozione il giorno che lo rifaranno. Non l’ho mai visto nuovo di fiamma. Anche se mi dispiacerebbe non vedere più la scaletta gialla con la ruggine e gli altri suoi angolini tipici».

Sorride con tenerezza Sveva: «Questo posto sarebbe magnifico, ma ormai sente l’usura del tempo. Il rischio di infortunarci è sempre più alto perché le condizioni della pista e delle attrezzature non sono adatte ai carichi e all’intensità di allenamenti di alto livello». Eppure la campionessa italiana si muove solo alla ricerca di palestre nei mesi freddi, quando proprio la casetta con due lampadine e senza riscaldamento che ospita qualche peso non può bastare per la preparazione invernale. «È quello che c’è – apre le braccia Sveva – e ci accontentiamo finché possiamo». Potrebbe spostarsi, trasferirsi alla ricerca di strutture di alto livello: «Ma voglio stare qui il più possibile: è la mia città, qui ci sono la mia famiglia, la mia squadra e il mio allenatore».

C’è un record italiano da inseguire. «Manca poco, allenandosi si può fare».

E da soli non si può.