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N.20 Aprile 2021

SALUTE

Il clic che ci guarda dentro
e spesso ci salva la vita

Carlo Giussani racconta il mestiere di tecnico di radiologia: tra esperienza e tecnologia: «Ci chiamano "dottore" ma siamo come fotografi: raccontiamo una storia attraverso le immagini»

«Sì, mi considero una sorta di fotografo. In fondo anche il radiologo scrive una storia attraverso le immagini». Carlo Giussani ha da poco compiuto i sessant’anni e tra poche settimane andrà in pensione dopo una carriera interamente votata alla professione di tecnico sanitario di radiologia medica.
In ambito diagnostico questa figura professionale poco conosciuta conduce le procedure per la formazione dell’immagine nella radiologia tradizionale quindi in ambiti come radiografia, fluoroscopia e mammografia, nella tomografia computerizzata, nell’imaging a risonanza magnetica, in angiografia e nella medicina nucleare: «Ho iniziato 35 anni fa. Negli anni ottanta frequentai un corso che mi avrebbe poi abilitato, detto in termini molto semplici, a fare le lastre. Ed era attività prevalente. Oggi la tecnologia ha compiuto passi da gigante e le apparecchiature sono sempre più sofisticate».
Giussani si divide tra angiografia ed emodinamica e radiologia interventistica: «La radiografia, forse la tecnica più conosciuta, è una fotografia degli organi interni. È un clic indispensabile per poi produrre una diagnosi, per comprendere quale sia il problema. Il nostro compito è quello di fornire al medico la miglior fotografia possibile».
Fotografia medica e fotografia classica, per un certo tempo, sono state legate a doppia mandata. La tecnologia poi ha tolto quella parte “artistica” e forse anche un po’ romantica di chi la foto diagnostica la doveva produrre: «Quando ho iniziato avevamo una camera buia con gli stessi passaggi di una fotografia tradizionale. Si utilizzavano, allo stesso modo, acidi ed acqua per sviluppo e fissaggio finale. Ora si lavora con i plate. Raccolgono informazioni e le inviano, elettronicamente, su uno schermo. Il passaggio da analogico a digitale ha decisamente accorciato i tempi. Una volta dovevamo pensare a mettere la mano del paziente che, per esempio, si era rotto il polso, in un certo modo. Per visualizzare immagini su una stessa lastra, ci si inventava tagli particolari. Le apparecchiature, nel 2021, sono invece così sofisticate che spesso ci si limita a schiacciare un pulsante».

«Il nostro compito
è quello di fornire al medico
la miglior fotografia possibile»

Quello di tecnico sanitario di radiologia medica è un lavoro, tra virgolette, di frontiera: «Ci chiamano spesso “infermiere”, qualcuno addirittura “dottore”. Veniamo scambiati per qualsiasi professione tranne per quella che svolgiamo. – ride – Per tanti siamo quelli che, genericamente, fanno le lastre. In realtà siamo molto di più. Io l’ho sempre saputo, me ne sono reso conto a maggior ragione quando sono passato dall’altra parte della barricata. Il 21 febbraio 2020 ho contratto il covid e sono stato ricoverato in pneumologia. Sono stato costretto ad indossare una mascherina con ventilazione forzata e mi sono risparmiato la terapia intensiva per poco. Ho compreso cosa succede dall’altra parte in una situazione di così grave emergenza».

Emergenza che ha richiesto un extra lavoro: «Si è bloccato tutto, prendevamo solamente pazienti affetti dal virus. Abbiamo fatto una valanga di torace al letto con apparecchiature portatili. In quei momenti mi sono reso conto di tantissime cose, soprattutto dell’ignoranza che ti porti appresso. Perché vedevo ciò che accadeva ma non riuscivo a dargli un nome. Sono rimasto onestamente stordito, non ho ben capito, ancora oggi, cosa sia successo».
I suoi clic, però, quelle nuove tecnologie che permettono a una mano esperta di scattare fotografie sempre più dettagliate hanno contribuito a salvare molte vite: «Tutto ciò che concerne la tecnologia ha aumentato l’aspettativa di vita. Innovazioni e nuove conoscenze scientifiche sono sbalorditive. Sono state investite risorse e studi per migliorare le nostre condizioni di vita. Faccio un esempio. Qualche anno fa mi è venuta un’ulcera così forte da richiedere una ospedalizzazione. In gastroenterologia mi hanno infilato un tubo in gola e chiuso le ferite. Sono uscito dopo tre giorni, ho ricominciato a mangiare e bere. Dieci, quindici anni fa mi avrebbero asportato lo stomaco. Oggi questi clic sono il prolungamento dei nostri occhi, registrano un’immagine di ciò che succede all’interno del nostro corpo e permettono di intervenire in maniera precisa sul problema».