sensi

N.46 Gennaio 2024

ragazzi

Il nostro pomeriggio al buio

Quattro adolescenti raccontano la visita alla mostra "Dialogo nel buio" dove si sono misurati con il limite, la fiducia negli altri, la paura di ciò che è oscuro e la scoperta di sensazioni inattese

«Sono in tre, anzi in quattro, forse cinque»… «Niente, resta a casa, non c’è nessuno»… «Guarda, se sei da queste parti, passa lo stesso»…

Sono sempre lì, tutti i pomeriggi; ma, quando hai bisogno di vederli, diventano inafferrabili.

Stefano, educatore professionale, sbuffa una nuvola di fumo: il freddo ghiaccia il respiro. Sulle panchine di Piazza Castello, anche se sono le quattro di pomeriggio, si gela. Il monumento del primo re d’Italia, che scruta i nostri movimenti dall’alto del basamento di granito, è l’unica presenza certa su cui possiamo contare quando arriviamo all’appuntamento.

Sorpresa: i ragazzi ci sono tutti. Una formazione fluida: qualcuno arriva – «bella bro’» – qualcuno va «dal tabacchino», tutti salutano educatamente i forestieri arrivati per intervistarli.

Bisogna fare un salto indietro, a qualche settimana prima, quando in piazzetta erano arrivati Stefano e Lorenza, operatori del servizio di Educativa territoriale del Comune di Cremona. Al gruppo di adolescenti con cui gli educatori condividono momenti informali e piccole iniziative, avevano proposto una gita a Milano. «È una città di cui parlano spesso – ci racconta Lorenza – un mito legato ad alcuni stereotipi come le discoteche, il Duomo ed il Mc Donald’s; abbiamo voluto coinvolgerli in un’iniziativa che evidenzi come Milano possa essere anche altro: cultura, per esempio». Qualcuno ha accettato di partecipare perché incuriosito dalla proposta di visitare la mostra Dialogo nel Buio, qualcun altro aderisce solo per avere l’occasione di farsi un giro.

La parola passa ai ragazzi che, timidi e spavaldi, accettano di farsi fotografare «ma solo se non si vede la faccia» e raccontare la loro esperienza milanese. Rompe il ghiaccio P.S., 18 anni e un lavoro da cameriere da poco abbandonato: «Era tutto buio, capito? Una cosa che ti metteva pressione! Una volta entrati nella mostra se tenevi gli occhi chiusi o li aprivi era tutto uguale: non vedevi niente». Interviene il fratello, G.S. di 16 anni: «All’inizio ti viene un po’ da ridere, anche per la paura, poi piano piano ci fai l’abitudine».

«Era tutto buio, capito?
Una cosa che ti metteva pressione!
Se tenevi gli occhi chiusi o li aprivi
era tutto uguale: non vedevi niente»

Il racconto procede, con entusiasmo crescente, in modo frammentato e disordinato. «All’inizio ci hanno detto di togliere tutto dalle tasche, anche il cellulare (!) e lasciarlo in un armadietto: se cadeva qualcosa, dovevamo aspettare la chiusura della mostra per poterlo cercare con la luce. Poi ad ognuno hanno dato un bastone, come quello per i non vedenti, e ci hanno spiegato come usarlo».

Da sotto una cascata di ricci corvini gli occhi di M.E.H. si illuminano: «Ad un certo punto ho visto come dei flash sul soffitto, mi sembrava di avere le allucinazioni; la guida ci ha spiegato che non c’era da preoccuparsi: era la retina che cerca di catturare la luce». «In una stanza ci ha fatto toccare degli oggetti chiedendoci di riconoscerli» interviene E.B., che sta finendo gli studi per diventare meccanico: «C’era anche una macchina vera a propria; sono stato il primo a riconoscere il modello: era una Panda». Pur essendo grande e grosso, non ha paura a condividere le sue emozioni con il gruppo: «All’inizio ho avuto paura, era tutto buio, non sai cosa può succedere, metti che arriva uno con un’ascia e ci uccide tutti!». I compagni ridono, scherzano tra loro e lo prendono un po’ in giro.

Emerge, dai racconti, l’importanza della figura della guida. «Avrà avuto 25 anni, era simpatico. Lui sapeva tutto, era tranquillo, sembrava che ci vedesse, un po’ come quando sei in camera tua e ti muovi al buio», ci spiega P..

A tirare le fila è Lorenza che sottolinea l’importanza dell’esperienza: «Al termine del percorso, seduti ai tavoli di un bar, sempre al buio, il gruppo ha rivolto numerose domande alla guida. In un contesto che, dopo i primi momenti di spaesamento, è diventato amichevole e informale, i ragazzi si sono sentiti liberi di interagire, confrontandosi in maniera leggera e mai banale con il concetto di disabilità. In molti si sono chiesti: e se succedesse a me? Come reagirei? Meglio essere muti o ciechi?».

«Giuro che voglio andarci!» afferma risoluto W., neomaggiorenne, che quel giorno non ha potuto unirsi al gruppo. «Anche se me la sarei fatta addosso a non vedere niente» aggiunge a mezza voce. Alle volte mi perdevo – prosegue E. – poi, per fortuna, arrivava la guida, mi chiamava per nome (ma come faceva a riconoscermi!), mi prendeva per mano e mi riportava nel gruppo».

Com’è stato, all’uscita, rivedere la luce? «A me è sembrato che fossero passati solo 20 minuti, invece era trascorsa un’ora» racconta G. mentre M. spiega: «Ci hanno raccomandato di guardare inizialmente a terra, in modo da abituare gradualmente gli occhi alla luce». Naturalmente, non tutti hanno seguito l’indicazione. Riprendono le risa e gli scherzi, qualcuno rivela di essere caduto durante la visita, qualcun altro, approfittando dell’anonimato dato dall’oscurità, di aver dato una sberla ad un compagno.

Salutiamo, sembrano passati venti minuti da quando siamo arrivati, invece è trascorsa più di un’ora.


DIALOGHI NEL BUIO

Un viaggio di un’ora nella totale oscurità, che trasforma una semplice passeggiata in un giardino o il sorseggiare una tazza di caffè in un’esperienza straordinaria. Chi l’ha compiuto racconta di aver vissuto qualcosa di unico, che ha cambiato il proprio modo di pensare. Dialogo nel Buio è una mostra/percorso allestita da dicembre 2005 presso l’Istituto dei Ciechi di Milano. Si differenzia da un’esposizione tradizionale per l’assenza totale di luce e per il fatto che i visitatori per esplorare gli ambienti devono affidarsi esclusivamente ai sensi del tatto, dell’udito, dell’olfatto, del gusto.

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