silenzio

N.05 Novembre 2019

RACCONTI D'INCONTRI

Il silenzio eloquente: quando parla lo sguardo

Una celebre frase di Martin Luther King recita: «La più grande tragedia di questi tempi, non è nel clamore chiassoso dei cattivi, ma nel silenzio spaventoso delle persone oneste». Purtroppo a volte mi sembra che questa frase affermi tutt’oggi una grande verità. Nella mia vita ho incontrato spesso occhi eloquenti e non sempre ho avuto il coraggio di guardarli, perché ho paura di non poter dare risposte adeguate, o di non saperlo fare. In questa società siamo circondati da palesi ingiustizie che quasi ci siamo rassegnati all’arroganza di chi non ascolta, e ci nascondiamo nel proverbiale silenzio assenso, quello del «tanto le cose non cambieranno mai». Le rivoluzioni sono partite dal silenzio o dal clamore? Forse dal clamore, ma non ne sono sicura. La mia esperienza di vita di persona con disabilità fisica spesso mi fa associare il silenzio all’indifferenza, ma forse questo è un mio pregiudizio dovuto proprio al mio vissuto. Noi tutti esseri umani, in un perenne stato di iperstimolazione, spesso consideriamo il silenzio in modo negativo e quasi non lo sopportiamo: forse perché ci fa sentire soli? Però ci sono silenzi e silenzi. E a volte il silenzio non è nient’altro che una forma di rispetto che io stessa metto in atto come per difendermi dal giudizio dell’altro, sia esso negativo o positivo. Non considero il silenzio come qualcosa di positivo a priori, ma posso dire di aver imparato due cose importanti dal silenzio: dare attenzione ai particolari e rispettare i tempi altrui; due fattori che hanno fatto fare alla mia vita un salto di qualità notevole.
Mentre scrivo mi vengono in mente gli occhi di Sergio, un uomo distinto, sempre sorridente, a cui la vita ha tolto tanto condannandolo all’immobilità e all’impossibilità di far sentire la sua voce. Sergio ha una tracheotomia. Quando sono andata a trovarlo era talmente felice che continuava a dirmi «Che bella, che bella», me lo diceva con gli occhi luccicanti e puntati verso di me, me lo ha detto tante volte. Un’altra cosa che ripeteva sempre era «Ti amo» alla persona che ama da anni e che mi aveva accompagnato a trovarlo.

Il silenzio va ascoltato, perché ci obbliga a riflettere per capire

La prima cosa che ho pensato è che non si può stare zitti di fronte alla bellezza dell’amore. Poi ho chiesto a Sergio: «Ti fa paura il silenzio?» E lui mi ha fatto cenno di sì con la testa. A quel punto volevo capire il perché, ma non era facile perché la voce rimaneva intrappolata nei tubi e non usciva. Poi ho intuito; e lui mi ha confermato questa triste ma cruda verità: ha paura di essere dimenticato. Io non lo dimenticherò mai, così come non dimenticherò il suo silenzio.
Incontri come questo fanno capire che non si può restare indifferenti al silenzio, ma anche che il silenzio non è sempre indifferenza: il silenzio va ascoltato, perché ci obbliga a riflettere profondamente e ci fa capire ciò che conta davvero e che talvolta non può essere detto. L’essenziale non è solo invisibile agli occhi, come si legge nel Piccolo Principe, ma anche in ciò che non possiamo dire o sentire.