silenzio

N.05 Novembre 2019

AL FIGLIO NON NATO

Le parole che non ti ho detto

Tre madri e un padre condividono i pensieri più intimi e silenziosi: quelli dedicati ad un figlio che non è mai nato Ma c'è

Ecografia 8° mese di gravidanza

«C’è chi le affida ad un quaderno, chi le accarezza dolcemente, sfiorando la fronte dei figli o dei nipoti. Chi sceglie di parlarne le sussurra all’altro capo del telefono, dove il respiro s’incrina e qualche lacrima inumidisce la voce. Sono le parole non dette ad un figlio mai nato, eppure vivo nei ricordi, negli affetti, nel desiderio di non perdersi e nella speranza ritrovarsi. Tre mamme e un papà hanno accettato di condividere la propria storia, accomunati da un pensiero leggero, sospeso tra la mente e l’anima.

«…ma vedere
quel puntino
che palpita
sul monitor
ha cambiato tutto.
Era presto, ma già c’eri»

«Ti direi grazie, nient’altro. Per come mi hai permesso di crescere, per avermi insegnato a non avere paura del dolore, a non restare sola, a riscoprire la persona che ho a fianco anche quando parlare di te sembrava impossibile. Avevo 29 anni, mi ero appena sposata con il tuo papà. Ancora non ci eravamo abituati uno all’altra e sei arrivato tu a scompigliare i piani. Undici settimane: avevo fatto giusto la prima ecografia, ma vedere quel puntino che palpita sul monitor ha cambiato tutto. Era presto, ma già c’eri. Eri parte della famiglia, parte di me. Il tempo di riprogrammare la vita e ti ho perso. Da un giorno all’altro, mi sono ritrovata nella sala d’aspetto del reparto maternità con in mano una lettera di dimissione e il ricovero programmato per il mattino successivo. Ero arrabbiata, non capivo. Perché mi hai dato una cosa così grande e ora me la togli? La prova più grande è stata riprendere la quotidianità. È difficile comunicare ciò che provi, soprattutto con chi ti vive a fianco. Arriva il silenzio, la distanza. Poco tempo dopo ho rivisto il sacerdote che ci ha sposati, mi ha detto che il Signore ti dà una croce solo se sei in grado di portarla. Una strada c’è, anche se in quel momento non sai come fare…E nonostante mio marito non potesse capire fino in fondo ciò che stavo vivendo mi è sempre rimasto accanto, senza chiedermi di censurare questa rabbia. Così sono cambiata, sono cresciuta con lui. Non avevi ancora un nome, ma ti penso tutti i giorni. Anche se fisicamente non sei qui. Poi è arrivata Tecla e oggi c’è anche Pietro, vivaci e monelli, ci ricordano tutti i giorni che sono una grazia. Certe cose non siamo noi a deciderle, ma a volte le diamo per scontate. Grazie, tutto qui».
Federica

«Non capivo perché dovessi provare dolore in quel reparto
in cui tutti
trovano la gioia,
la vita»

«Ti ho scritto una ettera, sai? Pochi giorni dopo. È in un quaderno, nascosto chissà dove. Avevo bisogno di parlarti e raccontarti tutto ciò che hai fatto nella tua breve esistenza, che ha cambiato tutto. Ero al sesto mese di una gravidanza a rischio. Nonostante tutte le accortezze, la notte del 4 agosto siamo corsi in ospedale, dove ci hanno detto che il tuo cuoricino non batteva più. Sono state ore difficilissime. Non capivo perché dovessi provare dolore in quel reparto in cui tutti trovano la gioia, la vita. Così quando sei nato ho chiesto di prenderti tra le braccia. Tra le mani, tanto eri piccolo. Un’ostetrica ha cercato un sacerdote per darti la benedizione. Isaia, è il nome che abbiamo scelto per te. In quel momento, nonostante la ferita, stringerti ci ha dato pace. Forza. Ci hai uniti come mai prima di quel momento, già da quella corsa in macchina, dove entrambi in silenzio abbiamo pregato per te. L’ho scoperto solo la mattina dopo, quando il tuo papà me l’ha detto. Io e lui abbiamo sempre avuto un rapporto bellissimo ma travagliato, soprattutto nel modo di vivere la fede. Quella notte ha pregato per te, è stato il tuo piccolo miracolo. Anche se oggi sei lontano, provo ad immaginarti. Parlo di te ai tuoi tre fratellini, racconto che ci sei, che sei un po’ come un angelo custode. Mi hai insegnato che non possiamo permetterci di vivere in modo superficiale. Mi hai dato esperienza di amore puro, quello che probabilmente cerchiamo per tutta la vita. Mi hai lasciato il desiderio di amare così, mio marito, i miei figli, e non perdere il desiderio di farlo».
Francesca

«”Incompatibile
con la vita”,
così hanno detto. Incompatibile…
Forse era la mia salute,
non la tua vita»

«Ho vissuto a lungo con la convinzione di non averti desiderata abbastanza. Tre anni prima era nato Filippo per fortunata e benedetta incoscienza, ma per motivi di salute sostenere altre gravidanze pareva impensabile. Scoprire di essere incinta ha destato non poche preoccupazioni : perché devi mettermi in difficoltà? Poi le cose sono andate diversamente. «Incompatibile con la vita», così hanno detto i medici. Incompatibile… Forse lo era la mia salute, non la tua vita. Senza saperlo mi sono rivolta ad una clinica antiabortista, dove sono rimasta per una decina di giorni aspettando che il mio corpo ti allontanasse da me. L’infermiera mi ha suggerito di guardarti, perché non restasse il rimpianto. Non so cosa avrei visto, ma non ne sono stata in grado. Non ti ho voluto bene da subito, questo è il mio rammarico. Non mi piace dire che ti ho persa. Ti ho trovata, sei con me, mi hai fatta diventare grande in modo diverso dai tuoi fratelli. Dopo di te ho avuto un altro bimbo e una bimba, tre figli stupendi… Questo per dire come cambiano le cose e quanto siamo piccoli rispetto ad un disegno tanto più grande di noi. Oggi ho tre nipoti, anche loro sono un dono, mi sento benedetta in modo immeritato. Continuo a pensarti. So che vegli su di noi, so che mi hai perdonata, lo sento. Come so che saresti stata una bimba, ne sono certa. Anche se sei rimasta con me solo dieci settimane, ovunque ti trovi ora sei viva più che mai».
Antonella

«Sei una delle poche cose
che mi ha tenuto
vicino all’idea
che ci sia qualcosa
dopo la vita,
nella speranza di rivederti»

«Mi manchi, ancora adesso. Sono passati 34 anni ma non passa mese senza pensare a te, senza chiedermi come saresti, cosa faresti ora. Saresti dovuto nascere a fine giugno. La cameretta era pronta. Siamo partiti da casa un mese prima per andare al mare, convinti di fare la cosa giusta per evitare il caldo estivo. Il medico ci ha rassicurati, non c’era motivo di preoccuparsi. Poi una sfortuna maledetta, una serie di coincidenze imprevedibili, inevitabili, perché probabilmente doveva andare così e basta. La tua mamma non sta bene, l’ambulanza tarda ad arrivare, la situazione precipita. In albergo c’è solo un’ostetrica in pensione che ci assiste in attesa dei soccorsi. Tu sei nato poco prima, ma già non c’eri più. Qualcuno mi ha detto che forse è stato meglio cosi, perché non hai sofferto. Forse è un ragionamento egoista, ma avrei accettato qualsiasi complicazione pur di averti qui. La mamma è rimasta 48 ore nel reparto di terapia intensiva, salva per un soffio. In quel momento nessuno poteva occuparsi di te, così l’ospedale ti ha affidato a me. Sono venuto a prenderti per accompagnarti al cimitero. Siamo tornati a trovarti ogni anno, in autunno e a inizio estate, nel giorno del tuo compleanno. Vorrei dirti che mi dispiace sia andata così, che abbiamo fatto l’impossibile, ma non è bastato. Abbiamo raccontato di te a tua sorella, che abbiamo desiderato con la stessa forza e lo stesso amore. So che potevi esserci e per noi ci sei. Sei una delle poche cose che mi ha tenuto vicino all’idea che ci sia qualcosa dopo la vita, nella speranza di rivederti» .
Giampiero