ridere
N.44 Novembre 2023
In scena e nella vita, far ridere è un mestiere serio
Dalla commedia di Plauto fino ad oggi, con Beppe Arena abbiamo parlato di risate inscena, copioni, emozioni e riflessioni. Perché «tutto ciò che è umano, se lo osservi a lungo, fa ridere»
«Far ridere è una cosa seria». Beppe Arena, regista e attore cremonese, in queste parole racchiude il cuore l’esperienza maturata tra palco e set cinematografico nel corso di una lunga carriera che negli anni l’ha portato a Roma, a contatto con i grandi della drammaturgia e della recitazione, e oggi lo ritrova nella sua città d’origine.
«Emozionare il pubblico è un lavoro difficile, tutt’altro che banale – afferma – Possiamo farlo ridere, sghignazzare, sorridere, ma in ogni caso serve equilibrio». Come un acrobata, l’attore alla ribalta ha il compito di calibrare tempi, parole, gesti, per costruire l’equilibrio delicato della comicità. «Nel teatro non c’è nulla d’improvvisato – prosegue Arena – tutto dev’essere preparato alla perfezione. Solo così riesci a dare tutto te stesso. Può sembrare strano, ma, per divertire, l’attore non deve divertirsi. Non deve cedere all’emozione, né familiarizzare troppo con il pubblico, ma mantenere la concentrazione fino all’ultima battuta». Spesso è solo una questione di tempo, che sul palco del teatro è l’unità fondamentale dell’emozione.
Come sottolinea il regista, «essere seri non significa essere seriosi: significa lavorare con professionalità, ma è importante sapersi prendere in giro». Fare teatro significa capire i limiti della natura umana, distillarne i tratti principali, trovare ciò in cui tutti possiamo riconoscerci, affinché ognuno possa rivedere nell’attore o nel personaggio qualcosa di sé o del mondo che gli appartiene. «Il teatro insegna a mettersi a nudo, a capire chi sei, a livellare le differenze. Ad essere uomini tra gli uomini».
Così accadeva già nell’antica Roma, ai tempi di Plauto, il padre della commedia, che già aveva colto l’essenza del riso. «È tra i miei autori preferiti – svela Arena – mi ha fatto capire che si può far riflettere il pubblico, facendolo ridere. Ai suoi tempi, il teatro era un luogo estemporaneo, un rito collettivo in cui la sovversione dei ruoli era sinonimo di libertà, ma portava sempre con sé una morale. «Potremmo dire che da allora non è quasi cambiato nulla – prosegue il regista – anche all’epoca la gente si lamentava del traffico, della sporcizia, delle differenze culturali con gli altri popoli che entravano in contatto con Roma… Erano tempi diversi, ma sentimenti come l’odio, l’amore, l’amicizia non cambiano. Siamo esseri umani. E tutto ciò che è umano, se lo osservi a lungo, fa ridere».
Ieri come oggi. «Come quando capita di osservare qualcuno che cammina per strada con il viso appiccicato allo smartphone, senza guardare dove mette i piedi, o chi si prende troppo sul serio, per poi “scivolare” alla prima occasione. La comicità si nasconde dove meno te l’aspetti: con il sorriso, si può trovare la leggerezza necessaria a trattare anche argomenti difficili, taglienti, pur mantenendo un atteggiamento positivo. Saper ridere significa salvare se stessi e gli altri».