giochi
N.30 Aprile 2022
La pubblicità che ci lancia la sfida e fa di noi consumatori-influencer
Con Guendalina Graffigna, docente di psicologia dei consumi, esploriamo il mondo del marketing e le strategie di engagement, di coinvolgimento dell'utente, anche (soprattutto) attraverso... le regole del gioco. A cui in fondo non sappiamo mai resistere
«Quando attiviamo l’emozione, l’esperienza del consumo si consolida, perché le emozioni le ricordiamo di più. Per questa ragione, molti, anzi quasi tutti i brand utilizzano il gioco nelle proprie strategie di marketing. Il gioco è la cosa più spontanea che esista nell’essere umano, che per sua natura è creativo, dotato di fantasia, con un lato fanciullo che rimane sempre vivo. Il gioco è usato per attrarci e in qualche modo per manipolarci».
Non ne fa una questione morale, Guendalina Graffigna, docente di Psicologia dei consumi e della salute nella Facoltà di Science agrarie, animali, ambientali dell’Università Cattolica di Piacenza e Cremona, dove dirige EngageMinds HUB – Consumer, Food & Health Engagement Research Center. Per mettere a fuoco la dinamica che certi meccanismi innescano nelle persone, utilizza analisi scientifica e osservazione della realtà: qual è l’esito che si ha nel comportamento del consumatore quando in campo scendono elementi sempre più ricorrenti per convincerlo all’acquisto, come il gioco? Ne abbiamo parlato direttamente con lei, anche co-autrice di un recente volume. “Introduzione alla psicologia dei consumatori”, scritto con Edoardo Lozza, docente di Psicologia dei consumi e del marketing nella Facoltà di Psicologia dell’Università Cattolica di Milano.
«Oggi il primo obiettivo delle marche e di chi vende prodotti – spiega Graffigna – è quello di non passare inosservati. Abbiamo talmente tante opzioni di consumo e siamo talmente bombardati dalle informazioni e dagli advertisement che la vera sfida dei brand è essere notati, step propedeutico all’eventuale acquisto. Il gioco ha questa funzione: tocca tante dimensioni psicologiche, crea una attivazione emotiva, ci coinvolge cognitivamente, cioè aumenta la nostra attenzione».
I meccanismi di gioco sono tanti e diversi. Il ragionamento di Graffigna porta a individuare tre differenti livelli. «Quello dei premi, ad esempio, è una forma di rinforzo nata dal sistema di premi-punizioni che deriva dal “condizionamento operante”, teoria classica dell’apprendimento, attraverso la quale si punta all’obiettivo del consolidamento di un certo comportamento. L’idea è che nel momento in cui, acquistando un prodotto ho un premio, vivo un rinforzo nel mio comportamento, perché mi restituisce qualche cosa. Questo è un primo livello».
Lo step successivo è quello in cui il gioco attiva la dinamica della partecipazione. «Oggi siamo nell’era del consumer engagement – chiarisce Graffigna –: il consumatore non vuole più essere soltanto il target finale dell’azione di advertisement o di marketing, ma cerca un’attivazione a 360 gradi e vuole sentirsi partecipe del processo di acquisto e di consumo. Il gioco può essere un elemento che giova a questa partecipazione». Ci sono tanti esempi, Graffigna ne cita uno. «In un paese estero, McDonald’s, per esempio, ha posizionato un mega puzzle interattivo su cartellone pubblicitario in una fermata della metro, molto vicina a un suo punto vendita. Il puzzle è volutamente scombinato, non fa capire quale sia il brand o chi sia la tipologia di consumatore. Il meccanismo attirava l’attenzione delle persone che, di fronte a questo pannello, incuriosite, iniziano a ricostruire il puzzle. Bene, tu così hai raggiunto due risultati: fermi il potenziale consumatore attivando la sua attenzione, lo ingaggi emotivamente nel luogo in cui transita – generalmente ambienti in cui è forte il rischio di noia, in cui è scarsa la stimolazione sensoriale di altro tipo. Secondo risultato, con questo advertisement lo stimoli ad una partecipazione, cioè ad entrare in relazione con l’advertisement, il prodotto, il brand che vengono svelati nella composizione del puzzle».
Questo modo di proporsi non dà la certezza assoluta di acquisto. «Certamente no, ma è un investimento. Oggi io penso che il vero marketing strategico sia quello di investimento nei confronti del consumatore; un marketing che sia percepito dal consumatore non come una strategia commerciale diretta ma un’occasione di piacevole esperienza. Da questa via si arriva alla relazione di fiducia. È questo che farà poi la differenza nel processo di acquisto». Graffigna introduce qui un altro termine del vocabolario di settore: «L’engagement è una dimensione puramente psicologica, una sorta di fiducia, di partnership, di “fidanzamento” tra il produttore e il consumatore. È evidente che ogni strategia che attiva psicologicamente il consumatore in modi nuovi, diventa vincente». Non tutti i brand possono permettersi queste «campagne di investimento«, certamente i più maturi e consolidati sul mercato, sì.
Poi è doveroso parlare di “viralizzazione”. «Oggi altre forme di gioco vengono utilizzate sui social per attivare la cosiddetta viralizzazione, basti pensare al “Fanta Festival” di Sanremo dell’ultima edizione del concorso canoro (gioco che consiste nell’organizzare e gestire squadre virtuali formate dagli artisti in gara: ognuno crea un team con cinque artisti ed un capitano, ndr). È stata un’azione di marketing pazzesca, con la quale diverse generazioni che hanno sempre snobbato la manifestazione sanremese sono state attratte, portando molti ad una partecipazione inimmaginata prima». È il terzo livello, quello del gioco collettivo, veicolato attraverso la dimensione social. «Oggi questo livello ha un potere dissuasivo elevatissimo – conferma Graffigna –. A quel punto non soltanto attivo la memoria del consumatore e l’attivo partecipativamente attraverso il gioco fisico, ma attivo il cosiddetto “passaparola”: il consumatore più banale diventa un influencer all’interno della sua stessa comunità».