pagine
N.50 maggio 2024
La solida preghiera di Palù: Dio salvi la materia!
Al Museo diocesano la mostra personale dell'architetto e artista che espone le sue installazioni in dialogo con le opere e con la struttura da lui stesso progettava, in una dialettica di contrasti tra forma solida e slancio spirituale
«È una pagina particolare della mia vita. È la prima volta che all’interno di una mia architettura realizzo una mostra dove non espongo solo quadri o sculture, ma lo faccio cercando un dialogo con alcune delle opere esposte nel museo». Parla in questi termini Giorgio Palù della personale God Save Matter visitabile presso il Museo diocesano di Cremona, aperto dal 2011 e da lui firmato. Un’esposizione che rappresenta una pagina importante della carriera del Palù artista che si affianca da una quindicina di anni, spiega l’autore, alla più nota attività del Palù architetto che a Cremona sta lasciando significativi segni della sua cifra stilistica. Una pagina dunque che è anche occasione per fare il punto sulla propria idea di arte incentrata sul valore della materia. «La passione per la materia è intrinsecamente connessa con la passione per l’architettura. L’architettura è fisicità, materialità, è materia. Un architetto non può non amare la materia anche se il mio primo materiale resta la luce», commenta Palù.
Luce che colpisce le opere, gioca con la loro fisicità, creando nuove opere. Le installazioni di Palù sono per lo più site-specific per cui è quella luce, quel contesto, per il quale sono state pensate, che le rende effettivamente opere complete. «La luce mi serve per costruire la materia», dichiara. Nell’arte plastica la materia assume una sfumatura di significato diversa rispetto a ciò che accade in architettura. «Voglio proprio andare a conoscere la materia con le mie opere da artista, cercando di estrapolare l’anima della materia. Ogni opera è strettamente connessa infatti con i diversi materiali che utilizzo». Molti tipi di pietre e marmi, cementi, ferro, bronzo, resine, legno e vetro passano nelle mani artigiane dell’artista per «costruire le mie forme astratte, rappresentazione evocativa di qualcosa, di un’idea andando ad interpretare a modo mio ciò che la materia vuole esprimere».
Lasciare spazio alla materia vuol dire elevare «un grido, una preghiera: God Save Matter, Dio salvi la materia, in un momento in cui tutto è multimediale, interattivo, impalpabile. Tra la carne e il cristallo, tra la trasparenza e la fisicità esiste una dicotomia meravigliosa, ma il rischio è che la virtualità possa cannibalizzare tutto quanto è stato tangibile e materico nella nostra storia».
Il richiamo della multimedialità resta comunque una sfida da affrontare e alla quale Palù non si sottrae, affrontandola in modo diretto con un’installazione multimediale, sonora e luminosa, collocata nell’area delle esposizioni temporanee del Museo diocesano, pensata insieme al produttore musicale Michelangelo (all’anagrafe Michele Zocca) e nata originariamente per la chiesa di San Carlo nel 2019. Al centro, come in un cameo, un Cristo crocifisso materico e trasparente inondato di luce rossa e poi azzurra, in un rincorrersi di colori accompagnati da una musica che si fa grido di dolore. «Il Cristo vive della sua trasparenza, purezza – spiega Palù – e si tinge diventando materia, carne e sangue con le immagini virtuali che scorrono alle sue spalle sul monitor. Un contrasto molto forte più interessante della virtualità fine a se stessa».
Un gioco di concretezza e virtualità che si affianca invece, nella esposizione personale distribuita lungo il percorso museale permanente, ad opere costruite con pietra e resine che insistono fortemente sulla materia, ammiccando alla luce come rimando ad una dimensione spirituale. Red Monolith affianca l’Annunciazione di Boccaccio Boccaccino del 1505 richiamandola nei colori, Trasparent Jesus, collocato nella sala dedicata alle croci antiche della diocesi, contrappone il cristallo al rosso delle resine che parlano di sangue e dolore. Poi ancora botticino trafitto dal ferro affianca il San Sebastiano in legno intagliato e dipinto di Giovanni Angelo del Maino del 1500. Tutte forme e dimensioni astratte come i pannelli di grandi dimensioni che riempiono di nero e rosso il corridoio dedicato alle mostre temporanee. «È la spoliazione dal figurativo, l’uso di un gesto meno descrittivo» che si configura in arte astratta, nella quale ciascun visitatore trova e prova le proprie emozioni. E, perché no, riscopre la sua dimensione interiore, «quel senso spirituale – commenta Palù – che trascende il concetto stesso di religiosità».