luce
N.16 Dicembre 2020
Oltre il Pont del Panfiss. Il segreto della candela
Ogni sabato Mattia passa dalla casa di riposo: perde la briscola con il nonno e incontra uno sguardo che prima lo fa fuggire ma poi gli dona un segreto
Salì di corsa le scale. Raggiunse il secondo piano e rallentò lungo il corridoio. Molti dopo pranzo dormivano e sapeva di non dover disturbare. Salutata l’operatrice socio sanitaria che faceva servizio al sabato, raggiunse la camera del nonno.
Il nonno era sdraiato a letto e come lo vide si alzò.
«Mattia! Com’è andata questa settimana?»
«Ciao. Al solito.»
Il vecchio prese dal comodino il mazzo di carte. «Rivincita?»
«Me la devi.»
Sedettero al tavolino e l’uomo cominciò a mischiare le piacentine. Per lui la briscola si poteva fare solo con quelle. «Non avevi una verifica di matematica?»
«Sì» sorrise. Era sempre colpito da come il nonno, nonostante faticasse a ricordare anche i nomi degli infermieri, riuscisse invece a imprimersi nella memoria i dettagli più fastidiosi. La verifica, una punizione che gli era stata imposta o una sconfitta della squadra di calcio dove giocava. «Era martedì.»
«Eh?»
«Appena sufficiente. Però la prof ha detto che ci sono stati miglioramenti.»
«Mm… l’hanno prossimo vai in prima superiore, devi metterti sotto altrimenti sono guai.»
«Me lo ripeti sempre. Dai le carte, forza.»
Giocarono e il nonno lo stracciò. Tre su quattro vinte.
«Com’è che non ti ricordi neanche del mio compleanno e invece sapevi benissimo che assi erano già usciti?»
«Eh?»
«Niente, lascia stare.»
«Perché? Non è oggi vero?»
«No, scherzavo nonno. Li compio a giugno.»
Il vecchio lo guardò perplesso. Aveva l’aria di uno che vagava con la mente in mondi lontanissimi, fatti di ricordi e fantasie.
«Sono quasi le cinque, devo tornare a casa. Mamma e papà passeranno domani.»
«Ah.» Ripose il mazzo sul comodino e accese la televisione.
Mattia lo salutò e uscì. La porta della camera di fianco era aperta. Passandoci davanti scorse un uomo seduto su una sedia. Aveva uno sguardo severo e la fronte attraversata da profonde rughe. La barba bianca partiva dal naso schiacciato e gli arrivava fin sotto al mento. Sentendolo passare, l’uomo lo fissò. Le sopracciglia cespugliose poggiavano su due occhi neri e profondi.
Come ipnotizzato, Mattia rallentò il passo sostenendo lo sguardo del vecchio. Passò oltre e tornò a casa.
Il sabato successivo riuscì a battere il nonno a due partite su cinque.
«Il cavallo mangia il fante, non pensi quando giochi!» concluse con decisione il vecchio.
«Hai ragione.» Lo aiutò a sistemare le carte e a mettersi comodo sul letto. «Ti serve niente?»
«Metti canale cinque.»
Mattia cominciò ad armeggiare col telecomando. «Senti ma… chi è quello della stanza di fianco?» domandò facendo zapping.
«Chi?»
«Quello della camera di fianco. Ha una faccia! ogni volta che passo mi lancia delle occhiatacce tremende.»
Il nonno scrollò le spalle e sprofondò nuca nel cuscino.
In corridoio Mattia percorse pochi passi e si fermò a sbirciare nella stanza appena dopo. Il vecchio era di spalle. Stava fissando un punto imprecisato della campagna fuori dalla finestra. Il ragazzo fece un passo verso la soglia e l’uomo si voltò di scatto piantandogli gli occhi addosso.
Mattia prese a correre. Scese le scale e solo quando fu sul marciapiede rallentò, saldo nella decisione di non rivolgere più attenzioni a quello strano individuo nei sabati a venire.
La settimana trascorse lenta e noiosa. Le giornate si proponevano grigie e ripetitive e la brina che copriva l’erba segnava l’inizio dell’inverno.
Mattia trascorse l’ultimo sabato di novembre a giocare col nonno e perdere. Niente di nuovo. «Dovremmo provare a giocarci dei soldi» disse. «Potresti mettere sul tavolo la pensione.»
«See, non c’è mica tanto da scommettere.»
Aiutò l’anziano a sedere nel letto e gli accese la televisione.
«Mi serve un piacere» esordì il nonno sistemando i cuscini.
«Cosa?»
«Le batterie del telecomando. Sono scariche. Vai un po’ a domandare a quello che sta qua di fianco se me le presta.»
«Eh? No, dai. Chiedo all’infermiera.»
«No!»
«Perché?»
«Quella dice sempre che farà questo e farà quell’altro ma alla fine non fa niente.»
«Ma non posso disturbarlo.»
«Gli dici che te l’ho detto io.»
«Ti conosce?»
«Non l’ho mai visto. Ma lo sento che guarda la tele, ce l’ha sempre alta.»
«Appunto, servirà a lui, no? E poi tu non cambi mai canale.»
«Senti, Mattia. Vuoi che perda la pazienza?»
«Mi sembra assurdo che…»
«Vai» alzò la voce indicandogli la porta.
«Non mi piace quel vecchio, è strano. Sembra una cornacchia.»
«Vai!»
Ubbidì rassegnato. La porta della stanza era chiusa. La toccò e la spinse con delicatezza. L’uomo era appena dietro. Lo scrutava dall’alto.
Una smorfia simile al sorriso attraversò il viso di Mattia. «Io… scusi ma…»
L’uomo gli prese la mano e ci fece cadere dentro due batterie. «Si sente tutto» aggiunse con voce calma e profonda.
«Grazie.» Uscì e tornò dal nonno. «Eccole.» Le sistemò e i due si salutarono.
In corridoio esitò un istante prima di tornare dal vecchio di fianco. Bussò. «Posso entrare un attimo?»
Lui era ancora davanti alla finestra. Si voltò e annuì.
«Volevo scusarmi per prima.»
Il vecchio gli mostrò una candela. Quattro di diverse dimensioni erano poggiate sul davanzale. «Questo è un moccolo» disse. «Si chiama così per la forma tozza. Non ha bisogno di supporti per stare in piedi.»
«Ah.»
L’uomo ne prese un’altra. «Questa è detta padella romana. Vedi lo stoppino?»
«Sì» disse rassegnato.
«Toccala» la alzò nella direzione del ragazzo. «Forza, prova.»
«Volevo solo scusarmi, adesso avrei da fare.»
«Toccala!»
Mattia si avvicinò e la prese.
«Senti la cera liscia.»
La carezzò. «Sì.»
L’uomo tornò a guardare fuori dalla finestra. «Io ne facevo di tutti i tipi. Ci ho passato la vita. Si preme la paraffina in polvere e poi si mette la cera colata dentro a uno stampo e la si fa solidificare attorno allo stoppino. Ah, se ne ho fatte!» tornò a fissare il ragazzo. «Lo sai che una volta le si usavano anche per misurare il tempo? È perché bruciano regolarmente.»
«Adesso però devo proprio andare.» Poggiò la candela sul letto e raggiunse l’uscita. «Arrivederci» disse prima di varcare la porta. “Brutta cosa la vecchiaia” pensò scendendo le scale. Ma in fondo sentiva una strana curiosità per quel vecchio e le sue candele.
Il sabato successivo decise di salutare il vecchio delle candele prima di sedersi al tavolo delle carte col nonno.
Era adagiato nel letto, con gli occhi tristi e stanchi.
«Come va?» domandò Mattia. «Volevo salutarla.»
L’uomo lo guardò. «La fabbrica era appena fuori dal centro abitato. Ci ho lavorato più di quarant’anni. A scottarmi le dita con la cera bollente. Tutte le mattine che passavo sul pont del panfiss…»
«Su che?»
«Il ponte di ferro. Si chiamava così perché eravamo i fortunati che avevamo soldi sicuri a fine mese. Panfiss. Ci passavo sopra due volte al giorno, per quarant’anni, ma solo negli ultimi momenti ho capito che segreto c’era dentro alle candele.»
«Che segreto?»
Il vecchio si alzò. Prese due candele identiche e si spostò sul tavolino. Le mise in piedi una di fianco all’altra.
Mattia si avvicinò.
«Guardale.»
«Sono uguali.»
«Nessuna candela è uguale all’altra. E sai da cosa si capisce?»
Mattia scosse la testa.
«Luce e fumo. Loro hanno vita propria e decidono quando ascoltarti o no.» Il vecchio prese l’accendino. Accese la prima. «Ha fatto fumo bianco, vedi? E la fiamma trema, sembra danzante.»
«Cosa vuol dire?»
«Quando è così, o quando è giallo vivo, è luminosa o fa anche piccoli scoppiettii, è bene. Vuol dire che Dio ti ascolta. Che la candela ha fatto il suo mestiere.» Accese la seconda. E la fissò.
«Questa? Sembra la stessa dell’altra.»
«Affatto. Guarda la fiamma, sfarfalla. Il fumo che ha dato appena accesa era nero. Quando fa così, schiocca o sputacchia, vuol dire male. Dio non ti ascolta. O non ci credi.» Soffiò spegnendole. «Vai adesso, va.»
Mattia uscì e andò dal nonno. Quel pomeriggio perse tutte le partite facendolo irritare parecchio.
«Sabato prossimo se hai ancora la testa così per aria non giochiamo!» disse alla fine il vecchio rimettendo l’elastico al mazzo.
Durante la settimana le luci del natale cominciarono a comparire ornando le piazze e le case. A scuola i ragazzi avevano contribuito per l’albero e un presepe. Anche la casa di riposo si era illuminata. Una grande capanna, con due statue poggiate sopra un pavimento di paglia, era posta all’ingresso. Mattia ci passò di fianco e prese le scale. Passò davanti alla stanza dell’uomo delle candele ma la vide chiusa. “Starà dormendo” pensò.
Il nonno lo aspettava. Giocarono fino alle sei. Mattia perse quasi tutte le partite e le poche mani che vinceva servivano solo a garantirgli quei pochi punti per non essere stracciato del tutto. Poi il vecchio prese posto nel letto. Salutò il nipote e accese la televisione.
Quando Mattia uscì la porta del vicino era ancora chiusa. Provò a bussare ma nessuno rispose. La aprì e avanzò nella stanza.
«Ue, ometto. Chi cerchi?» gli domandò l’uomo. Era totalmente calvo e se ne stava seduto al tavolino, in un pigiama a quadri rossi, intento a sbucciare un mandarino.
«Lei chi è?»
«Gianfranco Barbarti» rispose con orgoglio il vecchietto. «Chi sei tu?»
«E l’uomo che c’era prima?»
Barbati scosse la testa. «Non so.»
Percorse il corridoio e raggiuse l’operatrice sanitaria di turno. «Scusi, che fine ha fatto quello di fianco a mio nonno?»
«È morto.»
«Quando?»
«Martedì. La famiglia ha voluto farlo seppellire al cimitero del paese da dove veniva.»
«Dove?»
La donna scrollò le spalle. «Non so, tra Cremona e Piacenza.»
Mattia si sentì invaso da una profonda tristezza. Come se avesse perso la possibilità di conoscere di più. Avrebbe voluto scoprire anche altro su quell’uomo e sul suo strano rapporto con le candele. Avrebbe voluto chiedergli di più sulla fabbrica e sul pont del panfiss. Abbassò lo sguardo a terra e uscì. Passeggiò diretto a casa e quando fu davanti al sagrato si fermò per un istante. Decise di entrare in chiesa. Era vuota. Quando si avvicinò al candeliere votivo la luce tremante delle candele si mosse verso di lui. Prese un cerino e si frugò in tasca. “Va be, le monete la prossima volta.”
Poggiò il cerino e lo accese. Una lingua di fumo bianco si alzò dalla fiamma viva. Una strana e luminosa aureola circondava la piccola lingua di fuoco. Mattia annuì. La candela gliel’aveva suggerito. Sapeva d’essere ascoltato.