cibo

N.15 Novembre 2020

BONTÀ

La marmellata di Tidolo
ha un ingrediente segreto

Una giornata a Cascina San Marco dove i "ragazzi" di Fondazione Sospiro coltivano, trattano e confezionano le confetture di frutta al sapore di... inclusione

È una mattina di novembre quando io e Federica, che oltre a essere una bravissima fotografa è anche una delle mie più care amiche, arriviamo a Cascina San Marco. Siamo a Tidolo, piccolissima frazione ad un passo da Sospiro. La giornata è di quelle grigie, umide, fredde ma ad aprire il cancello troviamo due volti sorridenti: quello di Gloria e Gianluca. Sono due educatori che – con una semplicità disarmante – ci porteranno a conoscere un mondo: quello dei ragazzi fragili e vulnerabili di Fondazione Sospiro, impegnati in un progetto che «sembrava un sogno solo pochi anni fa, ma che ora possiamo toccare con mano», come racconta Simone Zani, presidente di questa straordinaria impresa agricolo-sociale.
È il 2016, infatti, quando Serafino Corti, medico e Direttore del Dipartimento delle Disabilità presenta al cda di Fondazione Sospiro un progetto per offrire alle persone con disabilità intellettiva ed autismo un’opportunità di inclusione sociale attraverso esperienze lavorative in campo agricolo, nella fattispecie nella coltivazione dei piccoli frutti rossi (lamponi, more, ribes, mirtilli). «Una scelta – ci spiega Gianluca – non casuale perché garantisce la possibilità di evitare l’utilizzo di macchine, servendosi di azioni semplici e ripetitive, adatte alle attitudini e capacità dei ragazzi».
Per realizzare tutto questo però serviva un luogo, uno spazio dove dar vita al sogno. E a Tidolo – accanto alla chiesetta parrocchiale – si trovava una cascina dismessa, abbandonata. Non avrebbe potuto nascere lì, nel cuore della campagna? Fondazione Sospiro si attiva, compra la cascina e 3500 ettari di terreno: «Qui non c’era nulla, abbiamo ristrutturato tutto e messo tutto a nuovo. E ora è un posto bellissimo», dice ancora Zani.
Lui, Gianluca e Gloria lo sottolineano con orgoglio, mentre ci mostrano la serra, il laboratorio, i filari di piante. Camminiamo nel fango di questo terreno e ogni passo è un pezzo di storia: con una carriola passa una ragazza imbronciata («Una giornata storta», ci dice l’educatrice) ma prima di andarcene sarà proprio quella giovane dai capelli corvini a non volerci più lasciar andare. C’è chi tiene pulita la serra, chi spazza le foglie cadute dai vasi di mirtillo, chi piantuma, chi sfalcia, chi controlla che il gelo non abbia intaccato le piantine.

Nella grande sala confezionamento – invece – tre ragazzi si occupano di etichettare e ultimare il packaging delle confetture extra di more e lamponi che ormai sono conosciute in tutto il cremonese. Perché sono buone, certo, ma soprattutto perché sono frutto dell’impegno di decine di ragazzi che – sfidando il gelo, la pandemia, la pioggia o il sole cocente – hanno voluto essere presenti ogni settimana. Non fanno tutto da soli: ci sono gli educatori, un agronomo e altri specialisti che aiutano nella cura dei filari e nella trasformazione del raccolto in marmellata. «Tra poco – ci svela Gloria – uno dei locali diventerà un piccolo negozietto».

Il fine è quello di una nuova autonomia
che li possa portare magari
anche al reinserimento in famiglia

La piccola boutique è appena abbozzata ma sembra già bellissima. Le confezioni curate, inscatolate, la vetrina pulita… tutto dice di una cura che arriva fin nel particolare. Nella stanza accanto si trovano due grandi celle frigorifere dove vengono conservati con cura i frutti del raccolto. Da lì, poi, si accede alla sala macchine vera e propria, dove di produce la confettura. Anche qui è tutto pulitissimo, ordinato, nulla fuori posto.
Dal vetro i ragazzi in pausa ci guardano curiosi, mentre Federica fissa la memoria di questa mattinata la sua macchina precisa e discreta. L’ultimo scatto è proprio su una di quelle confezioni di marmellata alle more, pronte per essere recapitate agli acquirenti.
«Ma si badi bene, noi non vendiamo un prodotto. Noi vendiamo un messaggio. E questo messaggio è che c’è un posto dove tutti possono diventare protagonisti della propria vita», dice Zani. Che racconta di come questi giovani spesso non abbiano conosciuto altra realtà al di fuori della Fondazione. Alcuni di loro vivono da anni in Fondazione e non provengono tutti dal cremonese. C’è chi arriva da Lecco, Brescia, Mantova, Lodi… le famiglie sono quindi lontane e quest’anno l’emergenza sanitaria è stata doppiamente dura per questi giovani costretti a stare chiusi, senza le visite di parenti e amici. Ma appena si è potuto, hanno voluto tutti tornare alla Cascina.
«Questo luogo non è un passatempo, ma ha una finalità educativa unica. Il fine è quello di far guadagnare loro una nuova autonomia, che li possa portare magari anche al reinserimento in famiglia. È una scommessa che abbiamo voluto giocare perché loro se lo meritano». Non è stato facile, lo scoglio più grande è stata la raccolta fondi. Ma anche qui, racconta, la validità del progetto si è imposta e così realtà piuttosto grandi a livello nazionale hanno voluto sostenerlo. Tra queste Fondazione Cariplo e la Fondazione “Bambini delle Fate”, che tramite un pull di aziende presenti anche sul territorio cremonese ha reso possibile la realizzazione dei lavori

Mentre ci aggiriamo, galosce ai piedi, per la Cascina, io e Federica rimaniamo in silenzio. Non per il freddo, ma perché siamo colpite dal fatto che un luogo apparentemente così remoto possa essere invece pieno di vita. Una vita vera, non edulcorata. Fatta anche di “giornate no” dove il malessere o il disagio sembrerebbero prendere il sopravvento o di mattine in cui invece l’umore è alto e la gioia di vedere le proprie fatiche acquistare un senso è incontenibile. C’è spazio per tutto, per tutti. E forse questo è l’ingrediente segreto che Cascina San Marco custodisce. E che lascia cadere, goccia dopo goccia , nei vasetti della sua gustosa marmellata.