bontà

N.53 Ottobre 2024

missione

Partire, conoscere, mettersi al servizio: la missione di Caterina con i “caschi bianchi”

La giovane di Soresina volontaria in Senegal con il progetto di Servizio civile internazionale attraverso Caritas

Caterina Ardigò, al centro, durante la Veglia missionaria diocesana a Cremona (foto diocesidicremona.it)

Una laurea triennale in Diritto all’Università di Trento, una laurea magistrale in Sicurezza internazionale a Praga, l’Erasmus a Istanbul. Un percorso che Caterina Ardigò, 25enne di Soresina, sta completando con la scelta di dedicarsi al volontariato e alla cooperazione. Ha portato la sua testimonianza nella serata di sabato 19 ottobre nella chiesa del Cambonino, a Cremona, in occasione della veglia missionaria diocesana.

È uno dei “caschi bianchi”, i giovani volontari in servizio civile all’estero impegnati in missioni di promozione della pace, dei diritti umani, dello sviluppo e della cooperazione fra i popoli, all’interno di un progetto elaborato congiuntamente da quattro enti: associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, Caritas Italiana, Focisv – Volontari nel Mondo e Gavci, che vede i giovani alternarsi all’estero da più di vent’anni. Il progetto “Caschi bianchi” si fonda sull’eredità lasciata dagli obiettori di coscienza, nel percorso di costituzione dei corpi civili di pace, basati sui principi della difesa popolare nonviolenta, in situazioni di conflitto armato o di violenza strutturale e negazione dei diritti umani.

In occasione della Giornata missionaria mondiale abbiamo intervistato la giovane soresinese.

Caterina, come ha maturato la scelta di un’esperienza di volontariato e cooperazione?

«Già durante gli studi mi sono appassionata e orientata verso questa scelta. Ho iniziato a documentarmi e ho scoperto le possibilità che offriva il Servizio civile attraverso i progetti Caritas dopo aver partecipato a un progetto di volontariato in Polonia: un progetto durato quattro mesi, a stretto contatto con i bambini, che mi ha motivata ulteriormente, permettendomi nello stesso tempo di verificare sul campo le competenze acquisite durante gli studi. E così ho confermato l’adesione al Servizio civile per affrontare l’esperienza del Servizio civile universale all’estero, i cosiddetti Caschi bianchi, con Caritas Italiana in cooperazione con Caritas Senegal».

Come è stata la preparazione?

«Ho affrontato un periodo di preparazione a Roma, ma la vera formazione è avvenuta direttamente a Dakar, in Senegal, dove lavoro, insieme a un’altra civilista come me, una suora, due laici e alcuni stagisti che si alternano per provare questa esperienza».

In che cosa consiste il progetto cui si sta dedicando?

«Io sono di stanza a Dakar, presso il punto di accoglienza per migranti e rifugiati. Da noi arrivano persone bloccate a Dakar per vari motivi e che hanno bisogno di essere ascoltati, hanno fame, necessitano di cure mediche, di formazione, richiedono assistenza per avviare una piccola attività o per capire come fare a rientrare al proprio Paese d’origine. Ascoltiamo e invitiamo a tornare per strutturare un progetto. In alcuni casi il sostegno si limita alla consegna di un kit alimentare o di acqua; in altri casi il nostri intervento è più articolato, soprattutto se è mirato a offrire una formazione professionale con strutture convenzionate, ad avviare attività di microcredito o al ritorno nel Paese d’origine».

C’è dunque anche un impegno di tipo formativo?

«Sì, organizziamo ad esempio atelier di sensibilizzazione sulla base dell’enciclica Laudato si’ di Papa Francesco. Si tratta soprattutto di occasioni per diffondere una cultura sulla tutela dell’ambiente e degli animali. Abbiamo promosso progetti di piantumazione di palme e anche occasione di confronto tra le persone che aiutiamo perché maturino uno spirito reciproco di ascolto e solidarietà. Insieme anche a momenti di svago e gioia».

C’è un progetto che in particolare si sente di raccontare?

«Ogni storia che ho ascoltato è stata importante. Ma porto nel cuore in particolare quella di una donna incinta di otto mesi che, nonostante il pancione, è tornata per ringraziarmi per un po’ d’acqua: mi ha fatto riflettere molto e mi sono convinta ancor di più della mia scelta. E poi c’è stato un progetto nel progetto: venti giorni in Sierra Leone dove abbiamo incontrato Caritas Makeni e il missionario saveriano padre Luigi Brioni, di Rivarolo del Re, con i suoi progetti di scolarizzazione: mi ha aperto un mondo».

Quanto è difficile ascoltare?

«Sono alla mia prima esperienza. Ogni tanto è difficile, la sofferenza ti coinvolge. È importante saper gestire le emozioni per non essere sopraffatti e vedere quanto un piccolo gesto (come l’ascolto o offrire una bottiglia d’acqua) faccia la differenza».

Consiglieresti questa esperienza?

«Sì, sempre e a tutti, perché, senza dimenticarsi da dove si viene, hai l’opportunità di partire, conoscere, scoprire e aiutare. Invito tutti a visitare la pagina Instagram @pari_caritas e a lanciarsi!».