altri
N.02 Giugno 2019
«Racconto il mondo senza insinuazioni»
Una chiacchierata con Iman Sabbah inviata della Rai a Parigi sul ruolo e la responsabilità di chi per lavoro fa infiormazione Tra i gilet gialli di Parigi e le minoranze cristiane in Terra Santa
Parlare di “altri” oggi è difficile. Si corre il rischio – acutizzato da molti media – di travisare una parola bellissima imponendole un’accezione negativa, brutta. Fortunatamente nel mondo del giornalismo non è una regola. Come dimostra Iman Sabbah, corrispondente Rai di stanza a Parigi. Di origine israeliana (è nata a Nazareth) è cristiana arabo-palestinese: ha studiato in Italia – dove è diventata il volto di punta per le notizie estere e dal Medio Oriente in particolare – e ora vive in Francia. Si sente europea, israeliana, italiana e tutte queste alterità non le sente come un peso. Ma come una ricchezza. «Dopo aver lavorato per la stampa israeliana, ho avuto la fortuna di diventare giornalista anche in Italia perché conoscevo bene quattro lingue e tra queste l’arabo. In questo caso la mia storia, le mie origini e la mia cultura sono state un valore riconosciuto, che è diventato una risorsa non solo per me ma per tanti. E io lo ricordo sempre, perché quando si parla di “altri” è bene partire dal positivo che c’è. L’altro può essere sempre un di più per tutti».
Ha le idee chiare, Iman. Sposata, con due figli piccoli, non ha però paura di spostarsi per lavoro e di incontrare ogni giorno persone e situazioni nuove. Ha raccontato i difficili conflitti in Iraq, quello israelo-palestinese e oggi che lavora Oltralpe non mancano occasioni di riflessione quando la cronaca parla di attacchi terroristici o proteste. Come dimostrano le proteste dei gilet gialli. «Ho seguito le loro manifestazioni per mesi. Ogni sabato scendevano in piazza moltissime persone, diversissime tra loro. Destra, sinistra, famiglie, anziani, persone sole che vedevano quel ritrovo come un momento aggregativo: era difficile per noi giornalisti, sempre abituati a categorizzare tutto, descrivere un fenomeno così vasto. Ci sono stati momenti di violenza inaudita, come quando il 16 marzo ho visto gli Champs-Élysées messi a ferro e fuoco o i negozi saccheggiati e derubati. Eppure anche lì ho cercato di raccontare tutto con obiettività, senza insinuare nulla».
Anche con l’incendio a Notre Dame è stato così: «Eravamo tutti increduli di fronte alle fiamme, ma quello che mi ha colpito più di tutto è stato vedere i cristiani francesi riunirsi ai piedi della Cattedrale per pregare e cantare. I cattolici in Francia soffrono molto il laicismo quasi esasperato dello Stato: la comunità cristiana è unita, ma quando si riunisce è come se stesse sempre un passo indietro, quasi un po’ nascosta. Ma di fronte a Notre Dame, si è riunito un popolo, per non parlare delle tantissime donazioni arrivate in pochissimo tempo. Io non dovevo interpretare niente di quello che vedevo lì. L’ho solo raccontato. Nella realtà che abbiamo davanti agli occhi, nella cronaca, c’è già tutto. Noi giornalisti non dobbiamo aggiungere nulla. Che non significa non dare un giudizio, ma significa aiutare il telespettatore ad approfondire di più quello che accade, senza però trascinarlo da una faziosità all’altra. E’ un rischio che molti giornalisti corrono, anche in Europa. Io credo che un giornalista non debba interpretare la realtà, deve raccontare solo quello che vede. Anche sul conflitto israelo-palestinese è così: sembra sempre che si debba essere schierati da una parte o da quella opposta. Invece nella mia esperienza personale ho visto che non deve essere per forza così”.
Racconta della sua infanzia a Nazareth: lei, cristiana arabo-palestinese, è cresciuta comunque in un clima tutto sommato di convivenza. Certo, anche oggi alcune leggi discriminano in qualche modo le minoranze non ebree, ma vivere insieme è possibile. «Anche per questo – racconta – ci tengo a trasmettere ai miei figli la mia fede cristiana, la cultura e le diverse lingue dei Paesi che mi hanno accolto. Alla sera recitiamo insieme l’Ave Maria in italiano e in arabo, per non dimenticare la bellezza e la forza di questa preghiera. La fede cristiana mi aiuta nel mio lavoro, perché mi ha insegnato a guardare e cercare il lato buono delle cose, sempre”.
Mentre l’intervista finisce – siamo in piazza del Duomo a Cremona – osserviamo il via vai di gente intorno alla nostra Cattedrale, con il mercato cittadino pieno di vita, lavoro… Quanti “altri”, quante esistenze intorno a noi. Ciascuna con il suo carico di gioie e fatiche nascoste.
Raccontare degli altri è un mestiere straordinariamente bello e pieno di responsabilità. Iman Sabbah oggi ce lo ha ricordato.