altri

N.02 Giugno 2019

RIFLESSIONI

Parole, non (solo) fatti!

Contrapporre l'azione alla capacità di elaborare un discorso è il male del nostro tempo. Minacciato dalle fake news e dalla facile propaganda

Marco Solzi Suggerimenti,2019 tecnica mista su tela di iuta150x100 cm

Il modo di intendere e vivere la democrazia sta trasformandosi proporzionalmente al modo con cui gli uomini d’oggi vivono la comunità. Pare che le radici della convivenza solidale si siano essiccate; sia rappresentanza che partecipazione sono in crisi ma ancor più le parole, anima e vita della democrazia, sono state private del loro significato.

L’epoca del soggettivismo propone una cultura del bene individuale a scapito del bene comune; il prevalere del principio espressivo su quello comunicativo, in nome di una presunta autenticità, avvalla un dire incurante della dignità dell’altro. Poco importa se le parole offendono, ingannano, mentono, che abbiano cessato di essere strumento di un pensiero che interroga e cerca di dar forma alla realtà, ciò che conta è che diano sfogo alle personali paure e rabbie. La parola, da strumento di costruzione di significati, di conoscenza e comprensione comune del mondo, è stata manomessa. Separata dal significato si trasforma in congegno di manipolazione delle coscienze: il dialogo lascia spazio alla propaganda che trasforma la piazza in un ring dove si devono mostrare i muscoli.

Ridicolizzare l’avversario, disprezzarlo, farne processi all’intenzione e diffondere la cultura del sospetto è l’esito di una retorica anche politica che potenzia la frammentazione sociale e causa sfiducia. Lo slogan che più di ogni altro si impone è quello che recita “fatti non parole”. La politica del fare che non tiene conto delle parole mostra una radicale ignoranza: sappiamo che i fatti non esistono al di fuori di una narrazione. Coloro dunque che vogliono sbarazzarsi delle parole sono coloro che le manipolano al fine di ingannare. Contrapporre i fatti alle parole è il male del nostro tempo che ha smarrito il senso del dialogo.

Al fine di recuperarlo l’Azione Cattolica cremonese ha recentemente proposto, in collaborazione con l’associazione Parole Ostili,una conversazione sull’uso della parola, con particolare attenzione ai social media, quale mezzo di salvaguardia e promozione della dignità dell’uomo.

La parola è stata manomessa
Separata dal significato si trasforma 
in congegno di manipolazione

Che il nostro sia un tempo di connessioni è un dato di fatto, al punto che alcuni credono che l’autentica democrazia si eserciti nel mondo informatico. Accelerazioni delle condivisioni  con relativa riduzione dei rapporti interpersonali, accesso ad ogni tipo di informazione senza la possibilità di controllare la veridicità delle fonti, scambio di opinioni dove chi legge è allo stesso tempo fonte, generano gruppi chiusi e autoreferenziali. L’ineliminabile bisogno di comunità si esprime in modo egoistico: noi, gli amici, gli altri, i nemici. La separazione tra “il noi” e “gli altri” conduce alla costruzione di recinti e di barriere che impediscono di vedere l’orizzonte in primo luogo perché il “noi” smette di cercare informazioni che possano contraddire la comune opinione con la conseguenza che il “noi” trasforma in verità ciò in cui già crede; in secondo luogo perché “gli altri” si trasformano in stupidi e, ancor peggio, in nemici.

La cultura del nemico caratterizza una comunità in cui prevale la paura e la diffidenza. Il nemico diventa colui che radicalizza il bisogno di appartenenza là dove non si è più capaci di riconoscere l’umanità dell’altro. Alla logica del “noi” e “gli altri” si associa quella del “dentro” e “fuori”. Il rom, il nero, il migrante, l’omosessuale, l’ebreo, l’islamico (la lista potrebbe continuare) cioè l’altro, deve rimanere fuori.

Prendersi cura delle parole e dei loro significati, al fine di costruire una comunità inclusiva, richiede che ciascuno esca da sé per ascoltare gli altri ma, soprattutto, per portare l’altro. Farsi carico delle fatiche e delle paure degli altri è essenziale in una comunità democratica. Ciascuno non può esimersi dalla responsabilità nell’uso delle parole affinché non siano utilizzate come un’arma ma come segno di un pensiero che analizza, compara, sintetizza per dare ragione delle scelte comuni.

Oggi la posta in gioco è il recupero del dialogo come linfa della democrazia che vuole l’abolizione della distinzione tra noi e gli altri, perché vede solo nel bene comune la ragione del suo stesso esistere.