ridere
N.44 Novembre 2023
Ridere, sognare… volare davvero «con il clown che è dentro di me»
La strada di Alberto "Ghiso" Ghisoni è iniziata al Grest in oratorio. Poi, un naso rosso e gli incontri con i suoi maestri hanno fatto nascere Cotoletta e seminato sorrisi
«Uno dei miei miti è David Larible», confida Alberto Ghisoni. «Pensa che sono andato a vedere il suo spettacolo ben sei volte!”» Definito dal pubblico e dalla critica “il più grande clown del mondo”, durante i suoi show, oltre ai numeri classici, Larible predilige l’interazione pubblico-artista. E se il “clown dei clown” ha scelto di coinvolgere, tra il pubblico presente in sala, sei volte su sei, proprio Alberto, siamo convinti che un motivo ci sarà stato. «Non scriverlo questo!» ci intima ridendo; ma ormai è troppo tardi.
Tra i tavoli del Bistrot del Civico 81 incontriamo, davanti ad un caffè, Ghisoni.
Da dove nasce il tuo amore per il circo?
«Da adolescente ho sempre partecipato al Grest come animatore e, durante le giornate trascorse all’oratorio, ho scoperto la parte ironica e clownesca del mio carattere. Il percorso di consapevolezza è proseguito, appena maggiorenne, sperimentandomi come animatore per le feste di compleanno».
Quando si è verificato il passaggio da animatore a clown?
«Non ricordo il momento esatto – racconta mentre increspa le labbra sotto la folta barba bianca- ma non posso scordare la prima volta in cui ho indossato il naso rosso. Qualcuno dice che sia la maschera più piccola del mondo e io posso confermarlo perché, una volta indossata, tutto cambia: se prima sono l’animatore o il mago, una volta infilato il “naso’” il mio modo di fare diventa clownesco».
Dev’essere stata una scoperta strepitosa perché, da allora, non ha più smesso di fare spettacolo. «Il clown era proprio adatto al mio temperamento: non sono preciso, mi piace improvvisare e, soprattutto, non ho la pazienza e l’abilità per imparare tutte le tecniche che ti consentono di diventare un buon mago o un giocoliere provetto. Quando ne ho preso consapevolezza, sono riuscito a trovare la mia piena dimensione clownesca. Cotoletta, il nome d’arte con cui mi esibisco, non è capace di far nulla, perciò gioca con qualsiasi oggetto, a partire da quelli più semplici e improbabili, come una gallina di plastica o uno scopino per il water. La mia vera abilità è riuscire a creare un rapporto intimo e sincero con il pubblico».
Ogni artista ha i propri mentori e maestri, quali sono stati i tuoi? Alberto non deve nemmeno pensarci, anzi, dobbiamo mettere un freno al suo travolgente entusiasmo. «La prima persona è sicuramente don Pietro Samarini che, durante i grest, mi ha trasmesso il valore e l’importanza del linguaggio animativo. Frequentando la Focr e il mondo degli oratori ho avuto anche l’occasione di incontrare Sergio Procopio che aveva portato in scena, proprio a Cremona, uno spettacolo dedicato a San Francesco. Non posso poi dimenticare Maurizio Accattato, Claudio Madia e, naturalmente, David Larible!».
Nei tuoi spettacoli e nell’attività teatrale, c’è sempre molta attenzione alla persona e, in generale, un forte legame al mondo del sociale; riesci ad individuare anche in questo campo delle figure che ti hanno ispirato?
«È stato fondamentale l’incontro con Bano Ferrari: la sua esperienza con i Barabbas Clown mi ha molto affascinato; mi sono formato come clown con lui e poi ho approfondito, presso il Centro Salesiano di Arese, il suo modo di lavorare con il disagio e la fragilità«.
In mezzo a mille racconti, emozionanti e divertenti, ci colpisce l’esperienza di volontariato in Romania. «Sono andato diverse volte con il gruppo Drum Bun, capitanato da don Pier Codazzi» ci racconta Alberto. «In uno di questi viaggi abbiamo incontrato, a Bucarest, il clown Miloud Oukili e l’esperienza di Parada. È un’associazione che lavora, attraverso le arti circensi, con i bambini ed i ragazzi di strada: li hanno letteralmente fatti uscire dalle fogne fino a portarli sui palchi dei più importanti festival di circo!».
In mezzo a tanti incontri ed esperienze spumeggianti, hai un ricordo in particolare da condividere
L’espressione di Alberto di tinge di dolce nostalgia mentre ci racconta una vicenda di ormai quindici anni fa. «Insieme ad una ragazza finlandese che stava svolgendo il Servizio Civile Europeo, avevamo realizzato lo spettacolo Volammo davvero; il lavoro di creazione mi aveva permesso di scoprire in me stesso un clown raffinato, teatrale, molto introspettivo e lievemente malinconico: un personaggio decisamente distante da Cotoletta che invece è un pasticcione che vuole sempre giocare e scherzare con il pubblico».
Non ci sono state più occasioni di esplorare, nei tuoi spettacoli, aspetti diversi del tuo essere clown?
«In effetti ho scoperto lati inesplorati e stimolanti durante il tour con ‘Il Carrozzone degli artisti’ dove interpreto un personaggio buffo che sostiene alcuni passaggi dello spettacolo. È proprio il lavoro con la disabilità e l’incontro con la loro libertà ed autenticità che mi ha permesso di diventare un clown più vero e spontaneo».
La riscoperta di una parte di sé istintiva, molto concreta e alle volte un po’ pasticciona, ci porta agli ingredienti che hanno fatto scoprire ad Alberto, ormai più di trenta anni fa, la magia del clown. Un cerchio che si chiude, una magia che si ripete: riprendersi la libertà grazie ad una risata.