terra
N.01 Maggio 2019
Una natura da fiaba: ora madre ora matrigna
Nel mito e nelle storie antiche la maternità della natura incombe sulle vicende dell'uomo che si illude di dominarla Ma Biancaneve e Cenerentola troveranno la felicità grazie a una fata e a un bacio
Nei misteri eleusini, culti del periodo preellenico, si ritrova una primitiva interpretazione del senso della vita non solo riguardo all’uomo (cosa che tralascerò) ma anche riguardo alla terra. Essi raccontano il dolore di una madre, Demetra, dea della fertilità, a cui viene rapita la diletta figlia, Persefone, dal dio degli inferi, Plutone, che innamoratosi di lei la volle come sposa. Demetra vaga disperata e lacrimante per giorni alla ricerca della figlia perduta, ferma nella decisione di rendere la terra sterile finché non l’avesse ritrovata. Zeus, impietosito degli stenti degli uomini, causati dalla fame e dal freddo, ottenne da Plutone che Persefone potesse tornare sei mesi all’anno presso la madre. Nel periodo di vicinanza tra madre e figlia, la terra era fertile e rigogliosa; nel periodo della loro separazione la terra diveniva sterile, brulla e fredda.
Nel mito si ritrova la spiegazione del succedersi delle stagioni ma vi si può anche leggere quanto una madre possa avere il potere sia di custodire e far crescere sia di distruggere. La madre può essere fonte di vita ma anche di morte. Appare sottile la differenza dunque tra madre e matrigna.
La madre terra da cui ciascun uomo dipende, dà frutti per nutrirsi, ombra per proteggersi dalla calura, riparo per evitare tempeste. La bellezza delle sue valli e montagne, l’amenità delle sue pianure, i colori dei mari e fiumi incantano l’uomo che ne celebra la grandezza di madre benigna.
Nel contempo essa è percepita come una minaccia, temuta per la sua potenza devastatrice, percepita come nemica. Eruzioni, terremoti, esondazioni sono per l’uomo causa di dolori, patimenti, privazioni. La forza dei marosi inghiotte transatlantici, l’arsura dei deserti e il freddo dei ghiacciai respingono ogni possibilità di vita.
Anche se l’uomo ha cercato di diventarne padrone, grazie alla scienza e alla tecnica, continua a rimanerne vittima, forse in misura sempre più ampia.
Il duplice volto della maternità trova riscontro anche tra gli uomini come raccontano le fiabe. Biancaneve e Cenerentola sono, nell’immaginario collettivo, vittime di matrigne che ne vogliono la distruzione. Grimilide, la matrigna di Biancaneve, non tollera che lo specchio in cui si rimira le sveli che un’altra donna sia più bella di lei: la madre narciso vede la figlia come un ostacolo, un ingombro alla propria realizzazione di donna. La madre narciso, la donna del capriccio e dei profumi annulla la figlia, l’abbandona per potersi realizzare.
Lady Tremaine, la vedova aristocratica che sposa un ricco mercante, non tollera che la figlia di lui possa essere trattata come le sue figlie. Cenerentola è ridotta in schiavitù da una matrigna che pensa di proteggere le sue creature distruggendo chi può togliere loro ricchezza e successo.
Il diritto di proprietà sul figlio autorizza la madre al puro arbitrio, al capriccio insensato, all’assoggettamento e annullamento dell’altro, guardato come nemico.
A dispetto del narcisismo e del cannibalismo delle matrigne Cenerentola e Biancaneve troveranno tuttavia la felicità: l’una grazie alla protezione e cura della fata madrina, l’altra grazie al calore di un bacio. Se nelle fiabe i padri abbandonano i figli nel bosco perché possano trovare la loro strada e diventare uomini, le madri svelano la loro duplice natura di forza vivificatrice e di potenza distruttiva.
Sappiamo che le fiabe non raccontano favole, anzi, nella finzione, fanno emergere la verità.
La storia di ogni giorno potrebbe essere una conferma di quanto raccontato. Se, lasciati i fratelli Grimm, entriamo nello straordinario mondo della tragedia greca, rimaniamo atterriti di fronte a Medea, la donna che ha cancellato la madre e che non esita ad uccidere i propri figli per vendicarsi di un marito – amato fino al punto da rompere ogni legame con la sua terra – che non esita a trovare conforto nel letto di un’altra donna.
Quante madri ancora sono capaci di usare i lori figli per vendicarsi di un marito traditore? Quante donne rinunciano ad essere madri in nome dell’autorealizzazione? Quante madri pensano di proteggere i loro figli impendendo loro qualsiasi separazione?
Riconoscere l’alterità del figlio come valore in sé e condizione imprescindibile della sua stessa identità è l’antidoto al rischio incombente di trasformarsi da madre in matrigna.