caos
N.47 febbraio 2024
Adolescenti sul bordo, in cerca di un “Altrove”
Paure e ferite di un'età complicata e distante nello spettacolo portato in scena dalla Compagnia dei Piccoli. Uno sguardo sulla fatica del crescere. Un guanto di sfida al mondo adulto
Cinque adolescenti si muovono come schegge impazzite in uno spazio freddo come un laboratorio. Un faro scaccia le ombre della stanza, che a colpo d’occhio ricorda una piscina vuota, arredata solo con un’impalcatura, tre materassi nudi e una panchina. Sul lato destro, uno schermo mostra la stessa scena in scala di grigi, osservata dall’occhio vigile di una telecamera. Tre ragazze e due ragazzi. Hanno l’aria spaesata, poche certezze e una sola missione: uscire da quel non-luogo, sospeso tra l’infanzia e l’età adulta. Per farlo dovranno affrontare diverse sfide, fino alla prova più difficile: crescere.
Maddalena, Francesca, Andrea, Luca ed Ester sono i protagonisti di “Altrove”, spettacolo teatrale a cura della Compagnia dei Piccoli di Cremona, che lo scorso 28 gennaio ha segnato un secondo debutto sul palco del teatro Giovanni Paolo II a Castelleone. Sviluppato da un’idea di Leone Lisé, educatore al Servizio Dipendenze dell’Asst di Cremona, lo spettacolo è stato realizzato da Mattia Cabrini, autore e regista affiancato da Carolina Griffini, con il supporto tecnico di Gabriele Pensieri, Giovanni Cavalieri e Paolo Mazzini. La trama prende forma dalle testimonianze raccolte tra gli utenti di Spazio AGIO, realtà cui fanno capo diversi servizi che in città si occupano di adolescenti. “A loro sono stati dedicati un numero impressionante di studi, statistiche e pubblicazioni”, afferma il regista. “Spesso il quadro che ne emerge non è molto rassicurante: ragazzi e ragazze vengono descritti come individui fragili e distanti, iperconnessi eppure difficili da raggiungere”.
E se quel disagio fosse in buona parte negli occhi di chi li osserva? “Per rispondere a questa domanda – prosegue Cabrini -abbiamo intervistato educatori, giovani, insegnanti, genitori”. Adulti e adolescenti, ai due lati di quel mare chiamato “vita”. Consultori, centri di ascolto, servizi socio-educativi e per minori sono stati il terreno da cui cogliere testimonianze, per dare voce a quella “fatica di vivere” spesso associata a questa delicata fase di crescita. Il teatro è lo strumento per raccontarla in presa diretta: “Inizialmente ai cinque attori è stato chiesto d’improvvisare, prendendo ispirazione dai tanti spunti raccolti durante gli incontri”, spiega l’autore. L’ansia verso un futuro incerto o spaventoso, la paura di entrare in contatto, la sensazione di essere invisibili, la sovrapposizione tra reale e virtuale sono solo alcuni dei temi emersi e intrecciati in un atto unico denso e coinvolgente.
“Fu proprio un educatore – ricorda il regista – a dirmi che spesso aveva l’impressione di accompagnare i ragazzi al trampolino di una piscina, dicendo loro di buttarsi e avere fiducia, perché non possono rimanere sul bordo per tutta la vita”. Come loro, lo spettatore si trova in apnea, immerso nel fluido delle emozioni. Prima un’onda invisibile che quasi travolge Maddalena, l’ultima arrivata nel laboratorio, poi una giostra di brocche traboccanti, che Francesca cerca di bere a grandi sorsi, fino ad affogare nella paura di non farcela, di non saper stare a galla. Lo spettacolo attraversa immagini forti ed emblematiche, dolori immaginati che diventano ferite vivide, persone invisibili come l’aria di fronte all’indifferenza del gruppo, parole audaci e mani troppo timide per accarezzare l’idea di una sessualità che spaventa, perché contatto reale, privo di mediazioni.
Tutto avviene sotto gli occhi degli adulti, osservatori silenziosi, nascosti oltre la quarta parete, ora più che mai trasparente. A loro sta la scelta di assumere lo sguardo neutro della telecamera puntata in scena, oppure prendere le distanze dalla brusca logica della selezione naturale per soffermarsi su nuove prospettive, libere da giudizi e pregiudizi. “Il pubblico può scegliere se stare a guardare o se avvicinarsi e riempire quello spazio asettico”, commenta Cabrini. “Per ricordare ai ragazzi che nella vita non sono soli e che crescere non è un test da superare misurando performance e life skills”, Un po’ come avviene sul palco, quando lo schermo proietta la valutazione finale dei cinque protagonisti. “Idoneo”. Solo due vengono liberati. Gli altri rimangono indietro, con una domanda a mezz’aria: “Finirà? Sì, finirà”. Diventare grandi significa attraversare tutto questo, imparare a starci. Il tempo necessario per andare oltre, per andare “altrove”.