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N.43 ottobre 2023
Adolescenti oggi, dialogo sul filo delle fragilità
Al teatro Filo l'incontro con il professor Piotti alla proiezione del film "Closer" promossa dall'Asst Cremona: «Sui giornali campeggiano calo demografico, catastrofi ambientali, disoccupazione e guerre: con queste prospettive mi sembra normale che gli adolescenti siano tristi, sfiduciati e chiusi»
Dopo l’interessante incontro con Giuliana Tondina, sorge spontanea una domanda: cos’è un adolescente? Per cercare di comprendere, siamo andati ad ascoltare il professor Antonio Piotti. Filosofo, psicoterapeuta e docente di prevenzione e trattamento delle condotte autolesive e del tentato suicidio in adolescenza, opera presso l’Istituto Minotauro di Milano.
L’occasione è fornita martedì 24 ottobre dalla proiezione-dibattito presso il Cinema Teatro Filo e promossa, con il patrocinio del Comune di Cremona, dal Consultorio e dall’ufficio Comunicazione e relazioni esterne dell’ASST Cremona.
«Quando si diventa adulti, il ricordo dell’adolescenza viene addolcito dalla distanza – premette il professore – ma, in realtà, è un periodo complicato della vita, fatto di attese, difficoltà, sperimentazioni. Per questa generazione è un passaggio particolarmente difficile perché sulle prime pagine dei giornali campeggiano calo demografico, catastrofi ambientali, disoccupazione e guerre: con queste prospettive mi sembra normale che gli adolescenti siano tristi, sfiduciati e chiusi»
Dopo l’introduzione del professore, viene proiettato Close. Il film, diretto da Lukas Dhont, racconta la storia dell’amicizia tra due tredicenni: Lèo e Rèmi. L’ingresso alla scuola media mette in crisi il loro forte legame, interpretato con malizia da alcune compagne di classe. Lèo inizia a evitare l’amico per paura che la loro amicizia possa essere fraintesa mentre Rèmi, che non comprende l’allontanamento, si chiude in sé stesso. Una ferita che porterà alla fine tragica del giovane, facendo nascere uno straziante senso di colpa in Lèo.
Il professor Piotti propone ai presenti due letture del film. «La prima è politically correct – inizia sorridendo sotto la candida barba – Che bello se in futuro si potesse diventare maschi senza fare giochi violenti, senza parlare di calcio, senza picchiarsi con le salviette negli spogliatoi ma anche dedicandosi ad attività più dolci come fa Rèmi, che si impegna nello studio del flauto».
Se due ragazzini stanno vicini, anche in una società emancipata e accogliente come quella belga rappresentata nel film, corrono il rischio di venire derisi e additati come omosessuali. In questa cultura Lèo non può rimanere amico di Rèmi, deve rinunciare alla tenerezza e alla dolcezza ed entrare nel gruppo dei pari; in caso contrario verrebbe messa in crisi la sua parte maschile. Gli stereotipi e i pregiudizi sono talmente forti da costringere Lèo ad allontanarsi sempre di più dall’amico d’infanzia. «C’è qualcosa nella nostra cultura che ancora incide e obbliga chi vuole diventare maschio a rinunciare ai suoi tratti femminili e questo produce disastri, in questo caso il suicidio di Rèmi».
Il professore propone infine una seconda lettura del film: «Lèo non poteva fare altrimenti, cioè staccarsi da Rèmi, perché quando le compagne di classe chiedono se lui e l’amico stanno insieme, ha un istintivo moto di ribellione. Se un ragazzino deve identificarsi con la funzione maschile, forse ha davvero bisogno di entrare in un gruppo in cui ci si sfida tra pari e si gioca al pallone».
Il film si chiude con lo sguardo, difficile da decifrare, di Rèmi che fissa il campo in cui correva con l’amico. «Sembra dirci: sì, io sono così, ho sofferto, mi sono assunto la responsabilità del male che ho fatto e sono sopravvissuto. Non appartengo più al mondo dei bambini ma a quello degli adulti».