musei

N.25 Novembre 2021

CON CURA

Nel museo virtuale la fragilità diventa arte

Con il progetto "Collateral beauty" del Servizio di Neuropsichiatria Infantile e dell’Adolescenza dell’Asst di Cremona apre le porte all'espressione e i ragazzi ritrovano sé stessi e gli altri superando limiti e paure nella libertà di creare

The Collateral Beauty è un museo virtuale che vive di luce propria, sospeso nella rete, ma ancorato ad una realtà di vita e vissuta, fatta di percorsi, di persone e riflessioni profonde. Sono fotografie che raccontano “chi sei” ma anche chi siamo, un mix di terapia, conoscenza di sé e bellezza.

L’esposizione virtuale è stata pubblicata lo scorso 9 ottobre in occasione della Giornata Mondiale della Salute Mentale e nasce da un progetto, insolito, unico e affascinante, realizzato dal Servizio Territoriale di Neuropsichiatria Infantile e dell’Adolescenza dell’ASST di Cremona diretto da Maria Teresa Giarelli.

I protagonisti si chiamano Federica, Lara e Salvatore. Sono giovani autori, gli espositori di queste stanze virtuali, create ed allestite da Roberta Dall’Olmo che fa parte della Comunicazione Asst di Cremona.

I temi trattati sono molteplici, le sfumature sottili e figlie di un cammino personale e condiviso. Le immagini parlano di doppio, contrasto, presenza-assenza, tempo: «Attraverso la costruzione delle immagini è stato possibile conoscere sé e mettersi in relazione con gli altri e con il fuori».

«The Collateral Beauty è un progetto importante che valorizza l’essenza del lavoro di cura degli operatori e la capacità degli adolescenti», spiega Paola Mosa, Direttore Socio Sanitario ASST Cremona. «La cura non può essere fatta solo di clinica e prestazioni, bensì deve diventare sempre di più incontro e conoscenza. Per questo sperimentare mezzi espressivi inconsueti, come la fotografia, dentro un percorso terapeutico e di sostegno alla persona è una questione fondamentale. Non nascondo che per noi del servizio pubblico è anche un motivo di orgoglio».

Lara Anibi Bez è un tecnico della riabilitazione psichiatrica, fa parte dell’equipe che ha seguito passo per passo questi ragazzi. Insieme a lei anche diversi medici, neuropsichiatri, psicologi, un musicoterapeuta ed un assistente sociale: «L’approccio è fondamentale. Dalla mostra non emergono diagnosi ma persone, capaci di scoprire degli stili comunicativi. È la tappa finale di un percorso di conoscenza e comunicazione che trova nella fotografia il mezzo espressivo più congeniale. Questa è una sperimentazione durata circa due anni, iniziata nel 2018 e conclusa nel 2020. Gli autori hanno interpretato la realtà attraverso le immagini».

Ancora Anibi: «La mostra non voleva essere il fine del lavoro, ma è stato un effetto collaterale che ha preso forma un po’ alla volta nelle menti di tutti. La fotografia è uno strumento che fa già parte della vita degli adolescenti; per questo lo abbiamo scelto e utilizzato all’interno di un percorso strutturato e di senso. In questo modo è stata rivelata e confermata l’identità di ciascuno.

La cura non può essere fatta
solo clinica e prestazioni,
ma deve diventare sempre di più
incontro e conoscenza

Il nostro viaggio – fatto sia di lavoro in gruppo che individuale – è ispirato a concetti artistici e psicologici, ma attinge anche da ambiti squisitamente neuroscientifici, trasformando il nostro agire in un vero e proprio atto (ri)abilitativo».

Federica ha 18 anni ed è stata perno, insieme a Lara e Salvatore, di questo progetto. La frase che più la rappresenta è “fai del tuo sorriso l’unica arma da tenere addosso”: «The Collateral Beauty – dice – ha rappresentato un atto di conoscenza, un percorso intenso per le emozioni che scatenava e mi ha permesso di acquisire consapevolezza rispetto ai miei valori e ai miei limiti. La cosa che più mi ha sorpreso è come sia riuscita a cambiarmi: all’inizio del percorso mi sentivo persa, mentre ora è come se mi fossi trovata. Spesso mi sorprendo di me stessa. Ciò che non mi aspettavo è stata la capacità di relazionarmi con gli altri. Pensavo che alla fine ognuno avrebbe preso una strada diversa, invece, ci siamo scoperti e rivelati proprio come gruppo, ci capivamo senza doverci dire nulla e questo ci ha permesso di sostenerci per ciò che eravamo e non per ciò che ci aspettavamo. La fotografia per me rappresenta il tutto: toccare la mia essenza, avere la libertà di dire senza dire, di poter anche essere fragile senza vergogna».