sbagli

N.43 ottobre 2023

l'intervista

Minori in tribunale: «Ogni condanna è un fallimento»

La riflessione di Giuliana Tondina, Procuratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni di Brescia: «Chiedo che i ragazzi vengano processati ma, dietro di loro, c’è un mondo di adulti che deve prendersi le proprie responsabilità e non lasciarli soli».

Giuliana Tondina (foto New Eden Group)

“È vero che non sei responsabile di quello che sei, ma sei responsabile di quello che fai di ciò che sei” scriveva il filosofo Jean Paul Sartre. Giuliana Tondina, Procuratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni di Brescia, non mostra tentennamenti nell’affrontare con Riflessi un tema tanto complesso.

Esordisce specificando che ogni caso è individuale e che le generalizzazioni in questo campo sono pericolose. In secondo luogo non parlerà di tutti i comportamenti – «seppur molto fastidiosi» – messi in atto dagli adolescenti, ma tratterà solo dei reati. «Noto nell’opinione pubblica, in particolare nei mass media, che i due piani spesso si confondono: se un gruppo di ragazzi schiamazza in strada, viene subito identificato come una baby gang (termine che detesto!) quando, invece, si tratta solo di un gruppo di adolescenti rumorosi».

Se parliamo di reati, bisogna specificare che non sono tutti uguali e che, anche chi commette gli stessi crimini, spesso vi conferisce significati diversi. «Una cosa è chi ruba nei supermercati per poi rivendere la merce, un altro la ragazza che si appropria di un rimmel per uso personale, un altro ancora i ragazzi che entrano in un autogrill arraffando merce e devastando». Ciascuna di queste azioni ha, nella vita dei suoi protagonisti, un significato diverso. Proprio per questo motivo è importante decodificarlo per poi capire quale sia l’intervento più adatto da proporre: questo è l’obiettivo primario del Tribunale per i minorenni. «Quando arriva la condanna, vuol dire che tutti gli altri percorsi sono falliti».

«È sempre colpa loro,
vengono presentati come orde di barbari
arrivati per devastare il mondo di Heidi.
Ma come si comportano gli adulti?»

Il tema della responsabilità è molto delicato perché non tutti i ragazzi hanno la medesima maturità e lo stesso grado di comprensione delle proprie azioni. Inoltre alcune condotte non sono percepite come illecite dalla società dei pari, cioè dal loro gruppo di riferimento: «Per esempio un ragazzo che fa a botte con chi ha scritto su Instagram alla sua ragazza può essere accettato o addirittura incentivato. In questo caso il lavoro dell’’Ufficio di Servizio Sociale Minorile del Ministero di Giustizia (USSM), delle assistenti sociali e degli educatori, consiste nel mettere in comunicazione due mondi spesso distanti: la società, con i suoi divieti e i suoi diritti, e il mondo del ragazzo».

Un altro tema che emerge nel fitto dialogo con Giuliana Tondina, è la crisi educativa del mondo adulto. «Nelle pagine dei giornali, o anche in certe rappresentazioni di propaganda politica spesso si criminalizzano i ragazzi: è sempre colpa loro, vengono presentati come orde di barbari arrivati per devastare il mondo di Heidi. Ma come si comportano gli adulti? Durante le partite di calcio dei bambini vediamo genitori aggredire l’arbitro, altri che prendono a pugni chi gli passa davanti alla coda al supermercato… Certo, non tutto è così. Ci sono anche famiglie sane ma, il mondo in generale è aggressivo e competitivo: conta chi vince schiacciando l’avversario. I ragazzi imparano questo e poi lo mettono in atto».

Secondo il Procuratore, l’intervento penale – «che ovviamente deve esserci» – non è risolutivo: in primo luogo perché arriva dopo che il reato è accaduto; secondariamente perché raggiunge una piccola percentuale di tutti coloro che mettono in atto un comportamento da condannare. «Pensiamo a due ragazzi che si accapigliano fuori dalla scuola; attorno a loro non c’è il vuoto, ma un cerchio formato da cinquanta coetanei che filmano e fanno il tifo. Evidentemente è tutto il contesto sociale a dover cambiare».

«Il mondo in generale è aggressivo e competitivo:
conta chi vince schiacciando l’avversario.
I ragazzi imparano questo e poi lo mettono in atto»

In questo scenario, quale spazio rimane al libero arbitrio? «È una tematica molto dibattuta» – riflette Giuliana Tondina. «Per gli adulti sei incapace di intendere e volere esclusivamente quando, a motivo di una infermità di mente, non sei in grado di comprendere il significato delle tue azioni o di determinare le tue scelte»

Nel caso dei minorenni, l’età minima imputabile è fissata dal legislatore a 14 anni. Anche questa è una questione delicata al centro anche di recenti dibattiti politici. «Partiamo dai dati di fatto: studi neuroscientifici ci rivelano che la maturità delle aree del cervello che controllano il comportamento si raggiunge tra i 21 e i 25 anni. Questo non significa che i ragazzi non abbiano capacità di scegliere tra lecito ed illecito ma che, più andiamo indietro con l’età, meno c’è la capacità di comprendere. Vogliamo davvero processare il dodicenne che a scuola ha sottratto la merendina al compagno dandogli uno spintone? Perché, tecnicamente, si tratta di rapina». Evidentemente non è l’intervento appropriato. In questi casi ci sono strumenti civili: scendono in campo gli assistenti sociali, si parla con i genitori.

Un altro dato di fatto su cui bisogna riflettere, è che molti ragazzi autori di atti aggressivi e predatori vivono esperienze famigliari caratterizzate da violenza subìta o assistita. Sono situazioni molto diffuse su cui bisogna intervenire precocemente per evitare gravi danni evolutivi, tra cui il presentarsi di comportamenti violenti. «Se vedi in casa volare degli schiaffi tutti i giorni, difficilmente diventi un pacifista», chiosa Tondina.

«Oggi sono accessibili all’infanzia esperienze dannose:
di fronte a sessualità precoce, al consumo di droga,
alla pornografia on line i ragazzi sono lasciati soli.
Deve vedere cosa si passano sul telefonino in prima media…»

Rispetto al passato, cos’è cambiato?

«Adesso sono accessibili all’infanzia esperienze dannose che fino a solo dieci anni fa erano appannaggio degli adolescenti; mi riferisco a sessualità precoce, al consumo di droga, alla pornografia on line. I ragazzi sono lasciati soli, abbandonati alle tecnologie da genitori, magari bravissimi, ma impegnati tutto il giorno a lavorare. Deve vedere cosa si passano sul telefonino in prima media: pornografia, video crudeli con decapitazioni; danno fastidio anche a me che non sono di primo pelo».

«Io faccio il pubblico ministero, chiedo che i ragazzi vengano processati ma, dietro di loro, c’è un mondo di adulti che deve prendersi le proprie responsabilità». Dalle parole del Procuratore emerge evidentemente che si tratta di un problema di tipo sociologico, non di tipo criminale, legato ad un’area di malessere generale sempre più diffusa. In conclusione, il Procuratore ci saluta con un accorato appello: «Tutti coloro che hanno una sensibilità educativa sono chiamati a fare qualcosa, non lasciamo soli i nostri ragazzi!».