progetti
N.42 Settembre 2023
Così Benedetta (e Cody) riprendono in mano le redini della vita
Benedetta aveva dodici anni quando cadde da cavallo. Quando però la cicatrice rimasta non brucia più torna in sella e, con Cody, scopre l'equiterapia
Prendere in mano le redini della propria vita.
Una metafora che, in questa circostanza, veste alla perfezione le basi di un progetto che la dott.ssa Anselmi ha coltivato nel tempo.
Progettare. Pro – jacere. Gettare avanti. Mettere le basi per qualcosa che si svilupperà, che potrà germinare e poi fiorire, crescere e concretizzarsi. Allora il salto nel passato diventa inevitabile, parte essenziale per la comprensione di un viaggio che unisce al presente e che imposta una linea futura, da poter seguire ed esplorare, da poter guardare dritto negli occhi, per svelare e svelarsi.
Benedetta aveva dodici anni quando cadde da cavallo. Era semplicemente una bambina che andava a lezioni di monta inglese e che, in un giorno qualunque, aveva incontrato l’imprevedibile e la paura. Benedetta era ieri il punto di partenza di ciò che è oggi, il nucleo di un progetto in continua fase di sviluppo, un groviglio di emozioni che scatenavano reazioni e svelavano la sua personalità.
Decide di non restare nella paura e quando il tempo della ferita è passato, quando la cicatrice rimasta non brucia più, ma si evolve in un monito che ha il sapore dell’insegnamento, riprende in mano le redini e torna in sella. Trasmette questa passione anche alle figlie, finché decide di acquistare Cody, un Quarter americano di diciotto anni, possente ma anche prudente, con sfumature austere e un pizzico di tendenza all’essere burbero, che lo ha sempre reso affascinante.
Benedetta Anselmi è una Pedagogista Clinico e una Psicomotricista funzionale, una persona preparata e appassionata, che non smette mai di ricercare, di incontrare ed incontrarsi.
Conosco te, incontro me, questo è il titolo del suo libro, del suo penultimo progetto, caratterizzato da un taglio molto tecnico e pedagogico.
Però non basta, perché le prospettive di come possiamo arrivare alla conoscenza di noi stessi sono innumerevoli, così come i filtri che usiamo per osservare. Allora da quei filtri azzurri e limpidi, come i suoi occhi, passa ai riflessi di uno sguardo profondo, intenso, quasi tenebroso, di occhi nei quali immergersi più che rispecchiarsi. Occhi come quelli di Cody.
Il cavallo risponde, riflette sensazioni
che non riguardano lui, ma noi stessi.
Diventa lo specchio dei nostri timori,
di ciò che proiettiamo attraverso le azioni
che compiamo o quelle
che non abbiamo il coraggio di compiere
Il caso la avvicina a Daya Eliana Rota, fondatrice di Horse Life Coaching e ad interessarsi all’equiterapia. Il suo percorso comincia a settembre 2021 e termina in aprile 2023, quando finalmente diventa Operatore olistico specializzato in equiterapia, il progetto comincia a concretizzarsi in realtà.
«Come funziona l’equiterapia?» Domando a Benedetta, erroneamente convinto che si tratti di qualcosa di analogo all’ippoterapia.
«Durante le sessioni le persone si ritrovano in uno spazio in presenza del cavallo e lui semplicemente riflette quello che loro provano. Il mio ruolo è quello di osservare la comunicazione non verbale, le reazioni della natura circostante, in modo oggettivo e consapevole.»
Osservare, percepire, sentire. Sembra semplice a parole, ma è il frutto di anni di pratica, di studi ed attenzione ai dettagli. Dettagli che vanno successivamente decifrati, tradotti, resi fruibili da chi sta cercando di conoscersi.
Per il cavallo invece è una dote naturale avvertire le emozioni circostanti. Nella sua storia di animale preda ha imparato a sviluppare l’istinto relativo ai pericoli, ai segnali dell’ambiente circostante da riportare al branco, per essere pronti a reagire.
Il cavallo risponde, riflette sensazioni che non riguardano lui, ma noi stessi. Diventa lo specchio dei nostri timori, di ciò che proiettiamo attraverso le azioni che compiamo o quelle che non abbiamo il coraggio di compiere. Percepisce il ritmo del nostro respiro e il modo nel quale comunichiamo per vie non verbali. Il cavallo ci permette di vederci per come noi non riusciamo a fare, di confrontarci con la paura stessa di realizzare il nostro atteggiamento riflesso in lui. Si instaura una connessione, una sincronicità che apre le porte del subconscio e che ci mette in parallelo con il nostro io più profondo.
Le sedute diventano quindi la metafora di come ci ritroviamo nella nostra quotidianità. E quando Benedetta posiziona un birillo nel campo e invita la persona a guidare il cavallo in un percorso a terra, in direzione di quel punto, sta ponendo un obiettivo. Osserva la simulazione di un percorso che si traspone in una camminata consapevole, in una simulazione di vita.
Provare a riprendere in mano le redini della propria vita non è semplice, ma è possibile e spesso necessario. Perché conoscersi è sicuramente una scelta, ma prima ancora è consapevolezza e responsabilità. È un progetto che mette le basi e che cresce in noi, per poi germogliare.