mode
N.08 Febbraio 2020
Di arte, mode e modelli il dialogo con Dorian Gray
Il romanzo di Oscar Wilde protagonista della visita "in action" a palazzo Pallavicino Carotti con Crart e Compagnia dei Piccoli offre uno sguardo disincantato sulla bellezza e sulla libertà
«Non esiste una buona influenza, signor Gray. Ogni influenza è immorale». Il monologo di Lord Henry è la prima incursione teatrale che apre la visita guidata “La tela nascosta”. Tra le stanze di palazzo Pallavicino Carotti la recita dei brani di Oscar Wilde condurranno verso il cuore dell’intrigo tra il tempo che passa e la bellezza che sopravvive alle mode.
«La bellezza eterna? Beh, Dorian la desidera. La desidera al punto di dare tutto, dare la sua anima per conservarla per sempre. La faccenda è… di quale bellezza parliamo».
Mattia Cabrini, della Compagnia dei Piccoli, è il regista della visita. Attore ed educatore, si lascia coinvolgere nel discorso sulla moda, sulle influenze, su ciò che è bello… «E in fondo cambia. Dorian Gray brama la bellezza estetica, ma poi cambia. Si accorge che non corrisponde al suo bene. Anche se quando se ne accorge è troppo tardi».
La bellezza esteriore e quella esteriore: le due facce della stessa medaglia non si incontrano mai. Si danno le spalle. «Una è apparenza, l’altra è nascosta. Dorian non si preoccupa delle sua azioni perché le compie al buio, nell’ombra. Quando lascia Sybil ferendola a morte non lo fa sulla scena, ma dietro le quinte. E quando si accorge dei segni del tempo sul suo ritratto, nasconde anche il quadro».
E allora l’apparenza, il volto (o la maschera) che mostriamo al mondo a che serve? A che serve lo stile, il linguaggio, l’abito? «L’apparenza può essere proprio ciò che ci nasconde. Nascondiamo ciò che la società non riesce a vedere, perché vuole vedere solo quello che si aspetta da noi».
Dorian vuole eccellere, in fondo sembrare diverso. «Ma sceglie i luoghi, i vestiti, i codici stabiliti. Finché si chiede: “Perché lo facciamo?”. E si scopre vittima a sua volta».
Vittima della sua stessa apparenza. Della bellezza che lo imprigiona.
«Nel momento in cui cedi al “dover essere” e rinunci alla scelta la tua anima si consuma».
Davvero abbiamo scelta di fronte alle mode, al gusto comune, ai codici sociali?
«No, non c’è scelta. La moda ci dà forma, rassegniamoci… I tentativi di conversione di Dorian Gray vanno drammaticamente a vuoto»
Non puoi resistere alla tentazione, “l’unico modo di liberarsi di una tentazione è abbandonarvisi”.
«La voce di Lord Henry è la voce della moda del tempo. Influenza Dorian, gli dà le riviste da leggere, l’interpretazione dei fatti di cronaca, lo induce a lasciare Sybil. Ne fa una vittima».
Eppure un modello è ciò di cui andiamo in cerca, qualcosa che in relazione a cui poterci riconoscere, identificare, distaccare. Abbiamo bisogno, da sempre, di ispirazioni.
«È il moto naturale dell’adolescenza, intesa come età della crescita, che non si esaurisce: ci allontaniamo dai genitori, dall’oratorio, dalla società… Abbiamo modelli che riconosciamo, seguiamo, abbandoniamo, ritroviamo, superiamo».
C’è in gioco la libertà di scegliere il proprio riferimento, di tenerlo a distanza, farne un idolo o rifiutarlo. In fin dei conti capire se è buono o cattivo per la nostra vita.
«Già, aderire a un modello può bruciarti. Guardiamo Basil, il pittore che dipinge il ritratto di Dorian: lui ha bisogno di un modello. Però resta vittima della fascinazione e finisce martire. Come lo stesso Gray. Se l’influenza si riduce a mera seduzione perdiamo l’orizzonte del senso».
Il dramma di Dorian, durante la visita a Palazzo Pallavicino Carotti, si muove tra le stanze di un edificio storico, l’architettura, l’arredo, le opere che catturano ancora lo sguardo. Anche l’arte può sedurre, obbedire alla moda, diventare prodotto e consumarsi.
«Succede. Uno spettacolo teatrale, una corrente artistica, un genere musicale… possono limitarsi a ribadire un codice. Ma il compito dell’arte è raccontare l’uomo».
La sua libertà.
«L’arte di Wilde non insegna nulla, ma dice chi sei. È come uno specchio».
Che a volte, con il passare delle generazioni, appare deformato. Noi adulti non capiamo le mode dei giovani, i loro linguaggi e i loro orizzonti di gusto.
«È difficile, ma non possiamo opporre un rifiuto. Conoscere le mode, i miti, gli idoli dei nostri figli ci aiuta a conoscerli, a entrare nei loro pensieri invisibili e contorti per i nostri schemi. A farli uscire da dall’ombra».