partenze
N.37 Gennaio 2023
Exodus, sulle orme dei caminantes con gli scatti di Nicolò Filippo Rosso
Al Museo Diocesano di Cremona la mostra del reporter che racconta la condizione dei migranti che attraversano i confini dell'america Latina, migliaia di persone, che ogni giorno tracciano la propria via attraverso deserti, fiumi, foreste
Ci sono luoghi in cui il destino assume la forma di una linea d’inchiostro.
La stessa che sulle mappe segna la frontiera tra due Paesi e discrimina passato e futuro, attesa e speranza. Liquida come il fango che rallenta i passi di chi cerca di cambiarne il corso, compiendo l’unica scelta possibile: partire. È il tema di Exodus, mostra fotografica inaugurata negli spazi del Museo Diocesano di Cremona, dove rimarrà fino al 17 febbraio 2023.
Le fotografie di Nicolò Filippo Rosso raccontano l’esodo quotidiano di migliaia di persone, che ogni giorno tracciano la propria via attraverso deserti, fiumi, foreste. Esistenze stropicciate appese a bagagli improbabili, trascinate lungo la frontiera, lanciate oltre i muri. Sono scatti in bianco e nero, i colori della cronaca, scelti per ridurre l’immagine all’essenziale. Renderla nuda, ruvida come la realtà, filtrata solo dagli occhi di chi osserva.
«La fotografia è per me una forma di protesta – spiega Nicolò – finché ci saranno disuguaglianze che continuano a perpetrarsi, è importante continuare a raccontarle. Vorrei far riflettere sulla migrazione, intesa come un fenomeno globale. Tutti gli eventi cui assistiamo sono conseguenza di altri fatti avvenuti in precedenza, che tendono a ripetersi in diverse parti del mondo. Più di 100 milioni di persone affrontano situazioni simili: raccontarle attraverso i tanti occhi di chi le vive in prima persona è l’unico modo per offrire uno sguardo sulla realtà. Non completo, ma comunque profondo».
Povertà, privazioni, violenza, corruzione e mancanza di futuro sono ciò che spinge queste persone a lasciare la propria terra. Per farlo utilizzano mezzi di fortuna, a volte soli, altre riuniti in carovane umane. Ogni partenza è una storia a sé, che trova nel cammino condiviso un senso comune, forte come un grido silenzioso.
Nicolò inizia a scattare foto nel 2016, quando già da diversi anni vive in Sudamerica. Il desiderio di esplorare nuovi territori lo porta ad impegnarsi in prima linea nel documentare le condizioni sociali e umanitarie in zone di estrema povertà, spesso poste al confine tra Stati. Seguendo i caminantes, si sposta tra Messico, Guatemala, Honduras, Colombia e Venezuela, cercando l’origine di ciò che muove le persone. Molte non lasciano traccia, annegate nel flusso di statistiche e fenomeni geopolitici che ciclicamente riempiono le pagine dei quotidiani. Fotografarle significa provare a capire, essere abbastanza vicino da catturare i loro volti, ritraendo vite di cui poco si sa se non l’esito incerto.
Una scolaresca in visita guidata con la curatrice della mostra Laura Covelli
Quando viaggia, il fotografo porta sempre con sé un taccuino su cui appunta nomi, nazionalità e pochi dettagli distintivi, per ricostruire la storia di quell’istante e «renderla un documento», spiega. «Perché nulla vada perso, per ricordarci che l’esodo continua ogni giorno».
Quando scatta, Nicolò sta ad un passo dalla scena, sul margine della tragedia che si consuma e che spesso con uno sguardo chiama in causa l’osservatore. Ritrae le mani, i volti contratti, smarriti, i piccoli gesti di umanità che sembrano emergere dai luoghi di passaggio, dove il vuoto accoglie l’eco di un’emozione vivida, dolce e lacerante.
«Conoscere tante storie ti trasforma – riflette – e ti aiuta a rimanere ancorato alla realtà. Per questo non ho base fissa: questa esperienza mi sta insegnando a costruire le mie radici di persona, che non hanno necessariamente bisogno di un luogo in cui affondare. Sono il frutto di ciò che vivi, di ciò che vuoi diventare». Per restare ancorato al mondo, senza mai fermarsi.
Le prossime tappe saranno Stati Uniti e Canada, per raccontare cosa c’è oltre il confine e accompagnare il difficile percorso di integrazione vissuto nei Paesi di approdo. Una volta partiti, non resta che continuare a camminare: come ricorda un verso di Warsan Shire: «So che qualsiasi altro posto è più sicuro di qui».
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