fede

N.48 marzo 2024

relazioni

Famiglie senza la fede al dito: scelte private e riflessi sociali

Le testimonianze di alcune coppie che hanno costruito legami stabili senza "passare" dal matrimonio a confronto con la lettura sociologica di Francesco Belletti, direttore del Centro Internazionale Studi Famiglia

Abito bianco e manciate di riso in via di estinzione? Potrebbe essere, se consideriamo che sempre più coppie scelgono di non dirsi di sì e scambiarsi l’anello, ma preferiscono la strada della convivenza.

Ne abbiamo parlato direttamente con alcune coppie che hanno scelto di non convolare a nozze e, insieme alla loro esperienza, abbiamo ascoltato anche il punto di vista di Francesco Belletti, direttore del Centro Internazionale Studi Famiglia (Cisf).

Il matrimonio, indipendentemente dalla tipologia del rito – religioso o civile – è lo specchio di una società che sta velocemente cambiando (anzi, è già cambiata), e diventare marito e moglie sembra non essere più il traguardo ambito dalle coppie che, di contro, scelgono di vivere assieme senza legarsi con vincoli di nessun tipo, se non la reciproca promessa di amore e fedeltà. «Noi stiamo assieme da 12 anni – osserva una delle coppie con cui abbiamo parlato – ci vogliamo bene e viviamo alti e bassi come tutte le altre coppie. Perché il matrimonio dovrebbe darci qualcosa di più?».

«Noi stiamo assieme da 12 anni
ci vogliamo bene e viviamo alti e bassi
come tutte le altre coppie.
Perché il matrimonio
dovrebbe darci qualcosa di più?»

Dunque, la fede nuziale non è più così importante? Vero è che non sempre è sinonimo di una coppia affiatata e duratura, ma potrebbe certamente essere un buon punto di partenza, una presa di responsabilità nei confronti dell’altro, un impegno più difficile da sciogliere. Eppure sembra che questo possa essere interpretato come un aspetto disincentivante: «Ci sono coppie sposate nelle quali uno dei due coniugi vuole andarsene e non può farlo definitivamente perché c’è la pratica del divorzio da sbrigare, che ha dei costi e dei tempi. Oltre a tutte le liti per il mantenimento, la casa, i bambini…».

I figli, altro tema delicato, considerando anche la forte crisi della natalità nel nostro Paese. Oggi fortunatamente i figli nati al di fuori del matrimonio sul piano giuridico hanno a tutti gli effetti gli stessi diritti dei bambini nati da genitori sposati:  «Non è il fatto di essere marito e moglie – spiega un’altra coppia che ha scelto di non sposarsi – a dare maggiore stabilità e benessere ad una famiglia. Noi siamo una famiglia, abbiamo due bambini e stiamo bene insieme, a prescindere. In casa nostra c’è rispetto e amore. Questo conta per noi e per i nostri ragazzi».

Francesco Belletti

Non è del tutto d’accordo Francesco Belletti, che ci offre il suo punto di vista di sociologo e studioso delle dinamiche sociali della famiglia: «Il progetto della famiglia investe una sfera pubblica, ha dimensione sociale prima ancora che morale: non si tratta solo di un vincolo che riguarda marito e moglie, ma coinvolge tutto il contesto in cui la famiglia vive. La scelta di “privatizzare” questo legame con la sola convivenza, pensando che in fondo una relazione si giochi esclusivamente all’interno della coppia, le toglie il grande ruolo di cittadinanza attiva che il matrimonio svolge nella società: fare famiglia è prima di tutto una responsabilità civile che la coppia si assume. Oggi purtroppo il contesto in cui viviamo rende difficile per i giovani entrare nella vita attiva, trovarsi un lavoro, avere una stabilità e ciò porta spesso a vedere il legame del matrimonio come un ulteriore punto di difficoltà e di incertezza invece che essere un punto di forza e di solidità».

«Il progetto della famiglia
investe una sfera pubblica,
ha dimensione sociale
prima ancora che morale:
non si tratta solo di un vincolo
che riguarda marito e moglie,
ma coinvolge tutto il contesto
in cui la famiglia vive»

Come in tutte le relazioni di lunga durata, ad un certo punto nasce anche la fatica quotidiana della vita insieme che in alcuni casi può sfociare in una crisi vera e propria della coppia; chiediamo allora a chi ha scelto la convivenza se il non avere un vincolo (anche) giuridico che costringe a prendersi tempo per la riflessione, potrebbe essere uno svantaggio: «E per quale motivo? Credo – è una delle risposte – che nessuna coppia che sceglie di iniziare un percorso di vita insieme poi decida a cuor leggero di separarsi. Certamente ci sarebbero meno vincoli legali, ma quando una coppia va in crisi, non è mai un percorso semplice. Anzi, il fatto di dover stare insieme per forza, intanto che si risolvono gli aspetti legali, secondo me, porta ad esacerbare i rapporti in molti casi».

Forse proprio per evitare di trovarsi impreparati, molte giovani coppie, pur conoscendosi da poco tempo, decidono di sperimentare la convivenza come una sorta di test per una futura vita insieme, prima eventualmente di decidere un’unione formale. La convivenza, quindi, va a sostituire quello che prima, in forma chiaramente differente, era la conoscenza data dal fidanzamento. Spesso però, da una prova di vita insieme prima del matrimonio si arriva ad una convivenza a tempo indeterminato, per tanti e svariati motivi: vuoi perché «sposarsi costa», vuoi perché si raggiunge un equilibrio piacevole e soddisfacente per entrambi e non si avverte più la necessità di fare il passo successivo. «Proviamo a vivere assieme, perché è solo così che si conosce davvero bene l’altra persona, nel quotidiano. Ci sono tanti aspetti che emergono solo con la convivenza e se poi te ne accorgi dopo il matrimonio, allora le cose si complicano. Su alcuni aspetti si può sorvolare, su altri invece magari proprio no».

Belletti ci conferma questo tipo di approccio «Circa otto coppie su dieci, arrivano al matrimonio dopo aver già vissuto un’esperienza di convivenza più o meno lunga, ritenendo che sia quasi da irresponsabili sposarsi senza aver provato a vivere insieme, con la convinzione che sia meglio affrontare eventuali problemi prima di contrarre matrimonio, in modo da fare una scelta più consapevole».

Quando poi si decide di sposarsi dopo anni di convivenza, quindi, si sono già affrontati e superati tutti i problemi della coppia? Ancora Belletti ci offre una risposta: «In realtà statisticamente è maggiore la percentuale di separazioni nelle coppie che avevano sperimentato un percorso di convivenza rispetto a chi si è sposato senza convivere. L’esigenza di “verifica” poi in realtà non si traduce sempre in una garanzia di stabilità del matrimonio».

«Statisticamente è maggiore
la percentuale di separazioni
nelle coppie che avevano sperimentato
un percorso di convivenza di “verifica”
rispetto a chi si è sposato senza convivere»

La fotografia ad oggi quindi ci mostra che la scelta della convivenza non rappresenta più un tabù come poteva esserlo per i nostri genitori o comunque fino a qualche decennio fa e il termine “compagno” o “compagna” sono equiparati, nel sentito comune della maggior parte dei giovani, a marito e moglie.

Come sarà invece la tendenza negli anni a venire?

Sempre Francesco Belletti offre una prospettiva: «La nostra società tende sempre più a identificare lo status di famiglia come un aspetto esclusivamente privato, che riguarda solo il me ed il te, sul piano emotivo ed affettivo, a prescindere dalla sfera civile e giuridica e per questo nel medio periodo aumenterà sicuramente il numero di coppie senza struttura coniugale. In realtà però ancora molti i giovani credono e continueranno a credere nell’istituzione del matrimonio, visto come un legame condiviso, una scelta che apre la famiglia verso l’esterno, non solo in una dimensione interna alle mura domestiche. Credo che negli anni a venire quindi ci troveremo davanti ad una situazione di coesistenza di diversi modelli e forme di intendere e vivere la coppia».